Attentato sinagoga, Copasir ha chiesto documenti a Dis per riaprire dossier: “Serve verità”. Magorno: “Adottare tutti gli strumenti a disposizione, nulla può essere più trascurato”.
Secondo quanto affermato all’Adnkronos dal senatore IV e segretario del Copasir (il Comitato parlamentare per la sicurezza), Ernesto Magorno, “le rivelazioni del Riformista hanno portato alla luce fatti che non lasciano spazio a interpretazioni. Il giorno dell’attentato alla Sinagoga del 1982 è successo qualcosa di inusuale”. “Perché non c’era la Polizia? Più che un’idea ho sentito l’esigenza di offrire un contributo per arrivare alla verità”, ha evidenziato Magorno, aggiungendo che “il primo passo che ho fatto è stato proprio quello di sollevare la questione per investire il Copasir di questa vicenda e contribuire a fare luce su quella che è stata una grave ferita per l’Italia intera”.
Dopo 40 anni serve la verità: “Solo così si può essere un Paese più credibile”
Del resto, “la ricerca della verità è un dovere morale, è un percorso da seguire senza indugi. Da qui la richiesta da parte del Comitato al Dis di ottenere nuovi documenti in modo da poter riaprire il dossier relativo all’attentato”, ha ribadito il segretario del Copasir. La sua intenzione, infatti, “è quella di adottare tutti gli strumenti a disposizione, perché a distanza di quasi 40 anni nulla può essere più trascurato; anzi soltanto facendo luce là dove c’è oscurità è possibile creare le basi per un processo consapevole di emancipazione del nostro Paese”.
Anche l’On. Enrico Borghi, componente del Copasir, si è espresso in merito alla necessità di ottenere la verità sull’attentato alla Sinagoga di 39 anni fa. Nella sua recente intervista a La Repubblica, Borghi ha spiegato: “Abbiamo chiesto al Dis, il Dipartimento centrale della nostra intelligence, nuovi elementi per ridiscutere il dossier sull’attentato alla Sinagoga del 9 ottobre 1982. Sono passati quasi quarant’anni, ma gli ultimi documenti pubblicati ci fanno pensare che troppe cose si devono ancora sapere. Non è più il tempo delle omissioni”.
“Uno Stato – ha proseguito l’onorevole – deve fare fino in fondo i conti con la propria storia. E su quell’attentato, invece, mi pare che ci sia stata quasi una rimozione. Parliamo di una stagione archiviata, ma non per questo dimenticata. La circolarità della storia potrebbe riproporre vicende simili. Affrontare oggi il passato significa crearsi gli anticorpi per il futuro. Lo stesso presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che nel suo discorso di insediamento, nel 2015, volle citare non a caso Stefao Gaj Taché, il bimbo di due anni rimasto vittima dell’attentato”.
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“La commissione che ha indagato nelle scorse legislature”, ha evidenziato poi Borghi, “ha riversato in Parlamento tonnellate di documenti. Alcuni sono ancora segreti, perché vi è il segreto di Stato. Altri non hanno invece ancora una classificazione: significa cioè che c’è bisogno di un passaggio dai presidenti delle Camere per avere l’estensibilità”. “Il Senato – ha proseguito l’onorevole – ha approvato un ordine del giorno che obbliga di mettere a disposizione tutti i documenti, salvo esigenze ostative, dopo 50 anni. Mi sembra un buon punto di partenza. Il punto è che la riservatezza non può essere una modalità burocratica ma nasce da un’esigenza di sicurezza interna. Se queste esigenze non esistono più, perché ormai parliamo di storia, non hanno più ragione d’essere”.
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“Oggi si torna a parlare di eversione, con un filo tra la destra estrema e i No Vax. Perfino il cancelliere tedesco ha parlato di allarme di estremismo di destra, che fa molta impressione. Ecco: un Paese che vuole affrontare il presente e il futuro deve aver fatto i conti con il proprio passato. Soltanto così può essere un Paese più credibile”, ha infine concluso Borghi.