Difficile spiegare cosa abbia portato il Partito Democratico ad infilarsi in questo vicolo cieco. Il rifiuto molto più che scontato di Conte, ha messo i dem in una posizione di ulteriore debolezza nei confronti di Calenda e Renzi, che avranno adesso un argomento in più per tentare di conquistare gli elettori più moderati del Pd.
Il seggio lasciato vuoto alla Camera di Gualtieri, appena diventato sindaco di Roma, è diventato un vero e proprio caso politico per il Partito Democratico. La scelta infatti di offrire a Giuseppe Conte la possibilità di sostituirlo per conto dei dem alla Camera ha mandato su tutte le furie sia Italia Viva che Azione, il partito guidato da Calenda, che aveva già risposto provocatoriamente, non appena era uscita l’indiscrezione, che si trattava di una soluzione per lui inaccettabile. Dello stesso avviso Renzi, e qui in fondo non c’è bisogno di spiegare il motivo: che tra il leader di Italia Viva e quello pentastellato non scorra buon sangue non è certo un mistero per chi ha guardato un po ‘di televisione negli ultimi mesi. Lo scontro tra i due è stato durissimo, e d’altronde non bisogna nemmeno dimenticare che è stata Italia Viva a defenestrare con i suoi voti Conte nel precedente esecutivo.
Il problema però, è che il leader pentastellato ha gentilmente declinato l’offerta del Pd, mettendo i dem in una posizione scomoda. Attaccati dagli alleati per aver offerto una “poltrona” che oltretutto è stata rifiutata dal diretto interessato, hanno finito col perdere su entrambi i fronti. Conte dal canto suo è stato molto chiaro: “Ringrazio il Partito democratico e Letta per la disponibilità e la lealtà nella proposta, ma dopo un nuovo supplemento di riflessione ho capito che in questa fase ho ancora molto da fare per il Movimento. Non mi è possibile dedicarmi ad altro”. Per certi versi si tratta di una risposta scontata, perché la sua adesione lo avrebbe portato a lasciare il Movimento 5 Stelle, e con il senno di poi, è stato dato perfino troppo poco risalto mediatico alla vicenda. Il Partito Democratico ha sostanzialmente chiesto a Conte di passare a collaborare politicamente verso un fronte più centrista, ma considerato che parliamo dell’attuale leader dei 5 stelle, e non dunque di un semplicemente esponente, era chiaro come la proposta fosse in sé azzardata. Perché è difficile al momento supporre che i dem si attendessero un rifiuto: era evidente che la scelta di virare sul nome di Conte avrebbe rischiato di indebolire e far compattare ulteriormente Renzi e Calenda. Farlo come semplicemente scelta simbolica o strategica era un suicidio annunciato. E adesso i dem si ritrovano a subire l’ira di due politici che guidano partiti che a onor del vero non hanno ancora dimostrato di poter raccogliere grandi consensi, ma che al contempo sono forse le forze che gli elettori considerano più vicine a un centrismo in via di ricostituzione.
Naturalmente, non tutti all’interno del Partito Democratico avevano accolto con favore l’offerta fatta pervenire a Conte. Matteo Ricci ad esempio si era dimostrato fin da subito molto critico, sottolineando l’illogicità di una candidatura fatta a colui che comunque è un avversario politico alle prossime elezioni. Anche Debora Serracchiani ha criticato la mossa del suo partito. Inequivocabile invece la reazione di Matteo Renzi: “Se nel collegio Roma 1 il Pd mette in campo una candidatura riformista, noi ci siamo. Se il Pd candida Conte, la candidatura riformista noi la troveremo in ogni caso ma non sarà Giuseppe Conte. Perchè il Pd può fare quello che crede, ma regalare il seggio sicuro (a quel punto forse non più sicuro?) al premier del sovranismo, all’uomo che ha firmato i decreti Salvini, all’avvocato che non vedeva differenza tra giustizialismo e garantismo significherebbe subalternità totale”. Con la stessa veemenza ha reagito Calenda che ai giornalisti ha addirittura raccontato un retroscena di queste trattative. Il leader di Azione ha infatti affermato che nelle settimane scorse si era più volte sentito con il segretario del Pd Enrico Letta per provare a decidere insieme chi fosse il candidato migliore per sostituire il seggio lasciato vuoto da Gualtieri. Letta, racconta, lo ha rassicurato più volte ma alla fine è semplicemente sparito per poi rispuntare mediaticamente con la candidatura di Conte in mano. Leu invece aveva accolto con favore questa possibilità, mentre la reazione del centrodestra è di scherno per un fallimento annunciato.
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Conte rifiutando questa offerta acquista forse più credibilità davanti agli esponenti dei 5 Stelle e soprattutto, davanti ai suoi elettori. Dico forse, perché per certi versi il suo rifiuto era scontato. Impensabile che chi ricopre un ruolo del genere all’interno del Movimento, possa passare con un altro partito con questa facilità, anche solo se si trattava di occupare un posto alla Camera con le dovute garanzie di autonomia.