Draghi premier fino al 2023? I partiti a favore sono sempre di più

Si era partiti con Silvio Berlusconi, si era passati per Matteo Salvini, si era giunti a Giuseppe Conte e ora si termina con Enrico Letta: i leader convinti dell’esigenza di tenere Mario Draghi a Palazzo Chigi sono sempre di più. Ecco allora che il dibattito sul Quirinale sembra gradualmente abbandonare l’ipotesi Draghi presidente della Repubblica. Il punto della situazione. 

draghi premier
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Il dibattito sul Quirinale si fa sempre più concitato e, come prevedibile, inizia a fare una cernita tra le ipotesi da ricollocare alle dicerie e le ipotesi da considerare davvero realizzabili: ebbene, tra queste ultime non risulterebbe un trasferimento del premier Mario Draghi al Quirinale. Almeno per diversi leader della maggioranza, almeno stando alle dichiarazioni più recenti. E questo fronte trasversale sembra solidificarsi proprio mentre dilagano indiscrezioni sulle dichiarazioni di Luigi Di Maio in occasione di un vertice internazionale: stando a quanto riportato da la Repubblica, dietro le quinte il ministro degli Esteri avrebbe ribadito che “Mario Draghi starebbe lavorando a una staffetta con Daniele Franco. L’attuale premier andrebbe al Quirinale, il ministro dell’Economia traslocherebbe a Palazzo Chigi“. Al momento, tuttavia, si tratta di mere indiscrezioni, che anzi sembrano confutate dal fronte comune che i leader dei principali partiti di maggioranza sembrano voler portare avanti: Mario Draghi deve restare premier fino al 2023, ripetono tutti in coro. Il primo a dirlo esplicitamente, dissipando le chiacchiere sull’ipotesi di un Draghi al Colle, è stato il leader di Forza Italia Silvio Berlusconi, in un’intervista al Corriere della Sera. Poi è venuto il turno di Matteo Salvini che, recuperando le parole del Cavaliere, avrebbe ufficializzato la sua marcia indietro sulla partita al Quirinale: “Per quanto riguarda Draghi, condivid0 le parole del presidente Berlusconi, sta lavorando bene da presidente del Consiglio e quindi mi auguro che vada avanti a lungo a lavorare da presidente del Consiglio“, ha ribadito di recente il leader della Lega.

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Motivazioni diverse, stessa linea

D’altro canto, la marcia indietro non deve stupire: la Lega appare sempre più in difficoltà nei sondaggi, che accreditano come quasi definitivo il sorpasso di Fratelli d’Italia. In questo quadro, il Carroccio non ha alcuna fretta di tornare alle elezioni anticipate (scenario che si farebbe sempre più plausibile se Draghi dovesse lasciare il suo posto a Palazzo Chigi). E a condividere questo atteggiamento attendista sembra essere anche il leader del M5s Giuseppe Conte, seppur per motivazioni diverse. In quest’ultimo caso, a pesare sarebbe soprattutto la difficoltosa rigenerazione interna del Movimento, un percorso in salita che sta spingendo l’ex premier a voler evitare lo spettro delle elezioni anticipate. Per questo le dichiarazioni di Conte si fanno sempre più temperate, per questo ora il leader del Movimento ribadisce l’esigenza di lasciar “lavorare il premier Draghi. C’è anche la recrudescenza della pandemia. Abbiamo il piano di resilienza, il contesto europeo in movimento, le vecchie politiche dell’austerity da superare. Tanti obiettivi per il governo in carica. Non tirerei Draghi per la giacchetta un giorno sì e l’altro pure“.

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Anche Letta blinda Draghi a Palazzo Chigi

Enrico Letta
MeteoWeek.com (Photo by Ernesto Ruscio/Getty Images)

A suggellare questo fronte unito, ora, sarebbe arrivato anche il segretario del Pd Enrico Letta che, chiamato all’appello dal leader di Azione Carlo Calenda, avrebbe ribadito spazzando via ogni dubbio: “In questo momento dobbiamo fare di tutto per dare continuità e applicare bene quello che c’è nella legge di bilancio. Ci sono segnali di fiducia, è un momento positivo per il Paese“. Poi ancora: “I partiti come il nostro vogliono che ci sia un buon governo fino alla fine della legislatura“. In questo caso a orientare l’azione del Pd non sarebbero tanto i risultati dei sondaggi (che danno il partito al primo posto), quanto l’esigenza di difendere un principio di coerenza: d’altronde, era stato proprio Enrico Letta a definire l’Italia una “democrazia malata“, esposta al terzo cambio di governo, in tre anni, con tre maggioranze diverse. A ribadire una posizione che era di per sé intuibile, arrivano ora le parole di Letta, probabilmente pronte a rispondere al guanto di sfida lanciato da Calenda su Twitter: “Da quando abbiamo chiesto ai segretari dei partiti di prendere posizione su Draghi fino al 2023 si sono espressi Berlusconi, Conte e Salvini. Manca Letta“, aveva scritto il leader di Azione.

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Ora Letta ribadisce a chiare lettere da che parte sta, e aggiunge: “La legge di bilancio è stata approvata dalla maggioranza più larga di sempre. Questa stessa maggioranza parlamentare affronterà nel mese di gennaio la scelta del nuovo capo dello Stato. Tutto ciò ha bisogno di questo sforzo di unità in cui ognuno deve fare due passi avanti per evitare di fare passi indietro tutti insieme. Dobbiamo fare passi avanti che siano passi avanti fatti di comune accordo“. Una considerazione sulla quale sarebbe necessario focalizzare l’attenzione, al di là dei toto-nomi, al di là del destino dei singoli individui: per l’elezione del presidente della Repubblica servirà una maggioranza ampia e coesa, “non potrà che essere così, altrimenti il governo cadrebbe immediatamente dopo”. Ebbene, forse, per comprendere il futuro della politica italiana non basterà guardare e giudicare il nome che uscirà dall’urna, ma capire il modo in cui verrà eletto il nuovo presidente della Repubblica. Ebbene, forse dovremmo staccarci dalla speranza di trovare, di volta in volta, il salvatore della patria, rinviando ancora un po’ la cura dei mali.

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