Tre detenuti in regime di massima sicurezza escono dal carcere per portare in scena Dante

Si tratta di un progetto dell’Università Roma Tre. Ieri, i tre carcerati sono usciti per la prima volta dopo 28 anni

Detenuti recitano Dante-Meteoweek.com

Tre detenuti nel carcere di Rebibbia in regime di massima sicurezza, sono usciti ieri per la prima volta dopo 28 anni per tre ore. I tre si sono recati sotto scorta nell’aula magna dell’università Roma Tre, organizzatrice del progetto, per recitare nello spettacolo del regista Fabio Cavalli. «Un’esperienza significativa quella del teatro nel carcere», ha commentato il cardinale Gianfranco Ravasi, «per questo abbiamo voluto una rappresentazione di un’opera fondamentale per la cultura universale». I protagonisti, Filippo Rigano, Giovanni Colonia, Francesco De Masi, con l’accompagnamento al pianoforte del maestro Franco Moretti, hanno recitato tramite le traduzioni dialettali.

Si è trattato di interpretazioni in dialetto napoletano, calabrese e siciliano «per rendere ancora più realistico il parallelismo tra condannati e dannati», ha detto il rettore Pietromarchi. «La realtà del carcere è dolore, paura e rimorso. Ma è anche il senso di un percorso, un cammino di liberazione e oggi Dante vi ha portato fuori dal carcere».

I detenuti hanno aperto il sipario con i versi del Purgatorio in cui parla il cavaliere Manfredi: «Orribil furon li peccati miei, ma la bontà infinita ha sì gran braccia, che prende ciò che si rivolge a lei».
Poi hanno recitato i canti dell’Inferno dantesco, commentando: «La descrizione delle colpe nella cantica è minuziosa, come un codice penale. Esistono categorie e sotto categorie come in carcere. Nel sistema giudiziario dantesco saremo i dannati, i diavoli. Eppure oggi siamo qui davanti a voi. Quindi tanto dannati non siamo e il nostro carcere non è l’inferno, piuttosto è un purgatorio».

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Lo spettacolo si è poi concluso, in dialetto napoletano, con il V canto dell’Inferno dove Dante ha posto i lussuriosi. Hanno quindi recitato i noti versi della tragica storia di Paolo e Francesca:«Anche noi in carcere siamo come Paolo e Francesca, perché in galera l’amore è proibito per legge. Quando incontriamo le nostre mogli in parlatorio un’ ora a settimana e ci stringiamo le mani, in quel momento ognuno di noi è Paolo».

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Finito lo spettacolo, i detenuti, commossi ed emozionati sono stati riportati nel penitenziario.

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