Una dichiarazione dell’ex sindaca di Roma riaccende il dibattito sul passato, il presente ed il futuro del Movimento 5 Stelle.
”Vogliono dipingermi in contrasto con Conte. Vi assicuro che non è così. Ho stima di Giuseppe e lo sento spesso”. Così, in un’intervista al ‘Corriere della Sera’, Virginia Raggi, ex sindaca di Roma ed esponente del Movimento 5 Stelle ha provato a chiarire la natura e la qualità dei suoi rapporti con il leader del Movimento. D’altro canto, la vicinanza della Raggi ad Alessandro Di Battista e a quello che può ormai essere definito il “vecchio” Movimento 5 Stelle è evidentemente un elemento dissonante rispetto al nuovo corso che i pentastellati hanno imboccato ormai da diverso tempo.
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Cerca una mediazione, o quantomeno di far quadrare i conti, la Raggi: ”Sento spesso Ale. Le sue idee sono sempre ambiziose e va ascoltato. Con lui ho un rapporto diretto e trasparente che va anche oltre la politica. Cosa vorrà fare lo dirà lui” ha aggiunto, tratteggiando in qualche modo l’ipotesi di creare una sorta di “ponte” tra le idee della nuova leadership del Movimento e quella che c’era prima. Ma non è una scelta possibile, almeno da quel che emerge dalla realtà politica.
Un cambiamento radicale e rapido
Il Movimento 5 Stelle guidato da Giuseppe Conte sembra orientato a proseguire su una strada ormai ben tracciata che lo sta portando a rappresentare una delle “gambe” di un ipotetico schieramento di centrosinistra. La manovra di avvicinamento al gruppo dei Socialisti e Democratici in Parlamento Europeo è una conferma: il Movimento 5 Stelle sta cambiando pelle, o meglio l’ha già cambiata. Lo strappo è avvenuto in maniera progressiva ma abbastanza rapida: prima la nascita del governo “gialloverde” con la Lega, che aveva messo in difficoltà tanti militanti ed attivisti grillini della “base”. Poi il clamoroso ribaltone, e la nascita del governo giallorosso insieme al PD, alla sinistra e sopratutto a Matteo Renzi.
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Forse è stato quello il definitivo “punto di rottura”: l’alleanza con il Partito Democratico, nemico giurato per tanti anni, e contemporaneamente con Matteo Renzi, obbiettivo di attacchi politici e considerato l’avversario numero uno da tantissimi membri – eletti e non eletti – del M5S. L’arrivo della pandemia e l’enorme emergenza sociale, economica ed anche politica che si è innescata ha fatto scivolare in secondo piano tensioni ed incompatibilità, che però ardevano sotto la cenere. Fino poi ad arrivare all’implosione definitiva con l’adesione dei grillini al governo del “banchiere” Mario Draghi. Oggettivamente quasi una contraddizione in termini rispetto a quello che il Movimento 5 Stelle voleva rappresentare nella politica italiana.
L’equilibrio impossibile
L’uscita di Alessandro Di Battista dal Movimento 5 Stelle, avvenuta proprio in occasione del sostegno espresso dal suo partito (ora ex) al governo di Mario Draghi, ha segnato il cambiamento ormai definitivo del progetto politico. Un cambiamento molto profondo, che genera una cesura netta tra il prima ed il dopo. Quanto netta? L’impressione è che sia quasi definitiva: per tornare ad essere quello che era prima il M5S dovrebbe operare una violenta cesura con l’azione politica degli ultimi – almeno – due anni. Per poi provare a riconquistare una credibilità “antisistema” che al momento ha perso quasi del tutto. Probabilmente saranno le elezioni – nel 2023 se tiene il governo, anche rispetto alla partita in corso sulle elezioni del presidente della Repubblica, o prima se cade l’esecutivo di Draghi – a decretare il successo o meno dell’attuale gestione del Movimento 5 Stelle. Ma la strada fino ad allora è tracciata: e – con buona pace di Virginia Raggi – è un percorso che si snoda molto distante dalle posizioni che Di Battista continua ad esprimere: l’equilibrio tra Conte e “Dibba” è impossibile, e questo è un fatto politico.