L’invito di Gesù è di non considerare i nostri doni, interiori e non, un possesso. Sono invece in “prestito” e da amministrare.
«Venite, benedetti del Padre mio», dice il Signore:
«ero malato e mi avete visitato.
In verità io vi dico:
tutto ciò che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli
più piccoli, l’avete fatto a me». (Cf. Mt 25,34.36.40)
Il Creatore dell’universo vi restituirà di nuovo il respiro e la vita.
Dal secondo libro dei Maccabèi
2Mac 7,1.20-31
In quei giorni, ci fu il caso di sette fratelli che, presi insieme alla loro madre, furono costretti dal re, a forza di flagelli e nerbate, a cibarsi di carni suine proibite.
Soprattutto la madre era ammirevole e degna di gloriosa memoria, perché, vedendo morire sette figli in un solo giorno, sopportava tutto serenamente per le speranze poste nel Signore. Esortava ciascuno di loro nella lingua dei padri, piena di nobili sentimenti e, temprando la tenerezza femminile con un coraggio virile, diceva loro: «Non so come siate apparsi nel mio seno; non io vi ho dato il respiro e la vita, né io ho dato forma alle membra di ciascuno di voi. Senza dubbio il Creatore dell’universo, che ha plasmato all’origine l’uomo e ha provveduto alla generazione di tutti, per la sua misericordia vi restituirà di nuovo il respiro e la vita, poiché voi ora per le sue leggi non vi preoccupate di voi stessi».
Antioco, credendosi disprezzato e sospettando che quel linguaggio fosse di scherno, esortava il più giovane che era ancora vivo; e non solo a parole, ma con giuramenti prometteva che l’avrebbe fatto ricco e molto felice, se avesse abbandonato le tradizioni dei padri, e che l’avrebbe fatto suo amico e gli avrebbe affidato alti incarichi. Ma poiché il giovane non badava per nulla a queste parole, il re, chiamata la madre, la esortava a farsi consigliera di salvezza per il ragazzo.
Esortata a lungo, ella accettò di persuadere il figlio; chinatasi su di lui, beffandosi del crudele tiranno, disse nella lingua dei padri: «Figlio, abbi pietà di me, che ti ho portato in seno nove mesi, che ti ho allattato per tre anni, ti ho allevato, ti ho condotto a questa età e ti ho dato il nutrimento. Ti scongiuro, figlio, contempla il cielo e la terra, osserva quanto vi è in essi e sappi che Dio li ha fatti non da cose preesistenti; tale è anche l’origine del genere umano. Non temere questo carnefice, ma, mostrandoti degno dei tuoi fratelli, accetta la morte, perché io ti possa riavere insieme con i tuoi fratelli nel giorno della misericordia».
Mentre lei ancora parlava, il giovane disse: «Che aspettate? Non obbedisco al comando del re, ma ascolto il comando della legge che è stata data ai nostri padri per mezzo di Mosè. Tu però, che ti sei fatto autore di ogni male contro gli Ebrei, non sfuggirai alle mani di Dio».
Parola di Dio.
R. Ci sazieremo, Signore, contemplando il tuo volto.
Ascolta, Signore, la mia giusta causa,
sii attento al mio grido.
Porgi l’orecchio alla mia preghiera:
sulle mie labbra non c’è inganno. R.
Tieni saldi i miei passi sulle tue vie
e i miei piedi non vacilleranno.
Io t’invoco poiché tu mi rispondi, o Dio;
tendi a me l’orecchio, ascolta le mie parole. R.
Custodiscimi come pupilla degli occhi,
all’ombra delle tue ali nascondimi,
Io nella giustizia contemplerò il tuo volto,
al risveglio mi sazierò della tua immagine. R.
Perché non hai consegnato il mio denaro a una banca?
Dal Vangelo secondo Luca
Lc 19,11-28
In quel tempo, Gesù disse una parabola, perché era vicino a Gerusalemme ed essi pensavano che il regno di Dio dovesse manifestarsi da un momento all’altro.
Disse dunque: «Un uomo di nobile famiglia partì per un paese lontano, per ricevere il titolo di re e poi ritornare. Chiamati dieci dei suoi servi, consegnò loro dieci monete d’oro, dicendo: “Fatele fruttare fino al mio ritorno”. Ma i suoi cittadini lo odiavano e mandarono dietro di lui una delegazione a dire: “Non vogliamo che costui venga a regnare su di noi”. Dopo aver ricevuto il titolo di re, egli ritornò e fece chiamare quei servi a cui aveva consegnato il denaro, per sapere quanto ciascuno avesse guadagnato.
Si presentò il primo e disse: “Signore, la tua moneta d’oro ne ha fruttate dieci”. Gli disse: “Bene, servo buono! Poiché ti sei mostrato fedele nel poco, ricevi il potere sopra dieci città”.
Poi si presentò il secondo e disse: “Signore, la tua moneta d’oro ne ha fruttate cinque”. Anche a questo disse: “Tu pure sarai a capo di cinque città”.
Venne poi anche un altro e disse: “Signore, ecco la tua moneta d’oro, che ho tenuto nascosta in un fazzoletto; avevo paura di te, che sei un uomo severo: prendi quello che non hai messo in deposito e mieti quello che non hai seminato”.
Gli rispose: “Dalle tue stesse parole ti giudico, servo malvagio! Sapevi che sono un uomo severo, che prendo quello che non ho messo in deposito e mieto quello che non ho seminato: perché allora non hai consegnato il mio denaro a una banca? Al mio ritorno l’avrei riscosso con gli interessi”.
Disse poi ai presenti: “Toglietegli la moneta d’oro e datela a colui che ne ha dieci”. Gli risposero: “Signore, ne ha già dieci!”. “Io vi dico: A chi ha, sarà dato; invece a chi non ha, sarà tolto anche quello che ha. E quei miei nemici, che non volevano che io diventassi loro re, conduceteli qui e uccideteli davanti a me”».
Dette queste cose, Gesù camminava davanti a tutti salendo verso Gerusalemme.
Parola del Signore.
In questa parabola ci sono alcuni sudditi del re che rifiutano Dio, attaccati alle opere malvage. Ci sono poi i servi che si mettono a disposizione per far sì che il messaggio si diffonda, c’è un servo che non si preoccupa di investire la moneta che Dio gli ha affidato, cioè non si preoccupa di darsi da fare in modo che, col suo lavoro e impegno, quello che di buono Dio gli aveva dato frutti qualcosa.
Quel servo non aveva, in verità, soltanto paura. La paura nasceva dal fatto, piuttosto, che non aveva voluto fare niente per gli altri e per Dio, non aveva preso in mano la sua vita.
Ciò ferisce molto Dio e un atteggiamento così ci impedisce di vivere e, anche se a volte sbagliando, di mettere a frutto i nostri talenti.
Il commento al Vangelo di ieri:
L’amore è il talento del cuore che Dio ci ha dato e che non dobbiamo nascondere per paura, ma anzi dovremmo essere sempre pronti a fare del bene, anche con quel poco che possiamo fare. Se avremo paura di metterci in gioco, o peggio per egoismo non ci spenderemo, non faremo fruttare i talenti che Dio ci ha dato.
L’invito di Gesù è quindi questo: qualsiasi cosa sappiamo e possiamo fare, non consideriamola un possesso da custodire gelosamente. I doni che abbiamo, tutti, sono in prestito, non ci appartengono davvero. Sono da amministrare, come lo è la nostra stessa vita. Spesso pensiamo che ciò che abbiamo è per caso, o per merito: in realtà Dio dà ad ognuno affinché ci mettiamo a servizio e mettiamo a servizio quei doni.
Chi non ha fatto niente di tutto ciò che poteva fare per Dio e gli altri, per paura di “sporcarsi le mani”, sarà tolto quel che di inutilizzato gli è stato dato.
Gesù è invece colui che non ha disdegnato di farsi uomo e venire tra noi a dare la sua vita, dedicandola a noi! Non dobbiamo quindi avere paura di fare altrettanto, perché altrimenti un domani potremo renderci conto che, anche quel poco che potevamo fare, non lo abbiamo fatto, e perderemo quella “moneta” che Gesù ci aveva dato: l’amore, il talento del cuore.
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