Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha fatto sapere, con tono deciso, di non esser disponibile a un mandato bis al Quirinale, giustificando la propria posizione con valutazioni di carattere giuridico: anche Giovanni Leone propose di introdurre la non rieleggibilità del presidente della Repubblica. Il timore è che, riproponendo l’eccezione del Napolitano bis, la rielezione del capo dello Stato possa trasformarsi in una prassi consolidata, a danno della tenuta democratica. Ora, però, i partiti sono in crisi.
Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha deciso di non attendere l’apertura dei giochi, comunicando ai partiti la solidità della sua decisione, per altro già anticipata da tempo: non ha intenzione di prestarsi a un secondo mandato al Quirinale. La sua posizione, a dir la verità, era nota da tempo, ma in molti, tra i parlamentari, credevano di poter riuscire a convincerlo in caso di estrema difficoltà. Anche Napolitano, d’altronde, si disse contrario prima di accettare la sua seconda elezione, l’unica nella storia della Repubblica italiana. Ebbene, ora Mattarella fa sapere con più decisione di non voler riproporre quella che fu e deve rimanere un’eccezione. Per spiegare la sua posizione, a febbraio aveva richiamato alla memoria le posizioni del suo predecessore Antonio Segni. Questa volta invece è toccato a Giovanni Leone, il quale – in un intervento con un messaggio alle Camere il 15 ottobre 1975 – “ripropose la sollecitazione (già sottolineata da Segni) di introdurre la non rieleggibilità del presidente della Repubblica, con la conseguente eliminazione del semestre bianco“. Insomma, Mattarella considera il secondo mandato, di fatto, incompatibile con i valori costituzionali.
Il motivo appare chiaro: rieleggendo in questo caso il presidente Mattarella, si creerebbe un secondo precedente (dopo quello di Napolitano) che a sua volta potrebbe dar vita a una prassi consolidata. Una prassi da scongiurare, perché rischierebbe di orientare le decisioni dei presidenti della Repubblica in vista di un ipotetico secondo mandato. Invece, Mattarella ce lo ricorda con fermezza, lo sguardo del capo dello Stato deve esser rivolto solamente alla tutela e al rispetto della Costituzione. Anche se a questo punto Mattarella va oltre, e una modifica di notevole importanza la suggerisce: l’eliminazione del semestre bianco, il periodo di sei mesi nel quale il presidente della Repubblica non può sciogliere le Camere. Ma al di là di valutazioni giuridiche, a confermare la fermezza della decisione di Mattarella ci sarebbe anche un’indiscrezione riportata dal quirinalista Marzio Breda al Corriere della Sera: il presidente avrebbe già firmato il contratto per un appartamento tra i Parioli e il quartiere Salario Trieste, molto probabilmente con l’intenzione di traslocare lì.
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Quirinale, senza Mattarella sale la preoccupazione
Sfumano in questo modo le aspettative di chi ancora credeva di poter riproporre il nome di Mattarella dopo la decima votazione. E così gli animi all’interno dei partiti e dal Parlamento si scaldano, capiscono che – in assenza di piani di riserva – è necessario accelerare sull’individuazione di nomi e sulla ricerca di un’intesa. I partiti, fino a questo momento, avrebbero atteso di conoscere le mosse delle due personalità più accreditate, Mattarella e Draghi. Il primo ha effettivamente risposto sciogliendo ogni riserva, mentre il secondo continua a evadere la domanda. “Spetta al Parlamento decidere“, ripete in conferenza stampa, ma è chiaro che si tratta di un modo per non rispondere: ovviamente spetta al Parlamento, ma proprio per favorire le decisioni assennate dei parlamentari sarebbe utile conoscere la disponibilità dei candidati a ricoprire l’incarico. Intanto alcune forze politiche insistono a chiedergli di restare a premier fino al 2023, e in molti percepiscono il suo silenzio stampa come un modo per riflettere in privato, senza sbilanciarsi troppo.
Al netto di tutto, tuttavia, è improbabile che la totalità delle forze politiche si convinca della bontà dell’operazione, a meno che il Parlamento non riesca a trovare nomi alternativi. Spostando Draghi al Quirinale, infatti, si aprirebbe un posto vuoto a Palazzo Chigi e il timore è di non riuscire a trovare un nome altrettanto convincente per tenere insieme le pressioni dell’Ue, dei partiti, dei parlamentari e la buona riuscita di Pnrr e gestione pandemica. Oltretutto, a quel punto si scoperchierebbe il vaso di pandora, perché chi è favorevole a mandare Draghi al Colle lo fa – spesso – per motivazioni completamente diverse, anche all’interno della stessa coalizione: Giorgia Meloni, ad esempio, auspica uno spostamento per tornare il prima possibile al voto, mentre per Giorgetti sarebbe la strategia ideale per chiudere la legislatura con una sorta di semipresidenzialismo (per altro, non previsto dalla Costituzione).
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Il toto-nome per il Quirinale
Per questo riparte il toto-nome, e lo sguardo cade, ancora una volta, sul Cavaliere. Stando al Corriere, i dem ipotizzano un’evoluzione di un altro tipo: Berlusconi – stando alla segreteria – sarebbe pronto a puntare su Amato per poi farsi nominare senatore a vita. Tuttavia, le previsioni all’interno del Partito Democratico non sono tutte dello stesso avviso. Secondo parte del Pd Berlusconi sarebbe pronto ad andare fino in fondo, ponendo il centrosinistra di fronte un aut aut: o Berlusconi, o un candidato altrettanto valido da contrapporre al Cavaliere. Per il resto, i nomi si moltiplicano, ma al momento restano tutti nella nube di uno scenario ipotetico. Tra questi, oltre al già citato Amato, Casini, Cartabia e Pera. Di fronte a questo scenario, attualmente caotico, può tornare utile recuperare le parole e gli inviti di Mattarella che, con il suo rifiuto, alimenta la confusione a fin di bene: “Nella vita di ogni comunità – e quella politica non fa eccezione – si manifestano momenti di difficoltà, di incomprensione, di stallo, in cui la nave sembra rifiutarsi di proseguire, le macchine paiono smettere di funzionare. Questo, naturalmente, applicato alla vicenda politica può portare a conseguenze imprevedibili. Entrano in campo allora le forze della saggezza e della conciliazione per riannodare il dialogo, per far proseguire il cammino, per aprire nuovi orizzonti“. Forze della saggezza, capacità di riannodare il dialogo: sono queste le capacità richieste ora a un Parlamento che, per troppe volte nel corso di una sola legislatura, sembra aver abdicato alle sue responsabilità.