Emanuela Orlandi, un nome divenuto tristemente noto per la grande quantità di punti di domanda, ipotesi, congetture, in merito alla sua scomparsa. Una ragazza di appena 15 anni, sparita nel nulla ormai da 38 anni, il 22 giugno del 1983 a Roma. Inizialmente, la sua scomparsa sembrava essere una banale bravata giovanile, ai genitori era stato anche sconsigliato di dare subito l’allarme alla forze dell’ordine. Divenne in seguito uno dei casi più oscuri della storia italiana e vaticana. Tra le tante ipotesi, venne perfino tirata in ballo la Banda della Magliana, i servizi segreti, diverse figure più o meno note. Manicomi, cimiteri, case di moda. Intorno al mistero di Emanuela, vi sono ancora troppi punti oscuri e nessuna risposta certa.
Emanuela abitava insieme ai genitori e ai suoi fratelli in Vaticano all’epoca della sparizione. Aveva un gran talento musicale, frequentava da anni la scuola di musica in piazza Sant’Apollinare a Roma, non troppo distante da Palazzo Madama, lì, Emanuela, seguiva corsi di pianoforte, flauto traverso, canto corale e solfeggio. E nel giorno della sua scomparsa, si recò proprio lì, a lezione di musica, intorno alle 16, per uscirne alle 18.45, dieci minuti prima rispetto al consueto. Emanuela, una volta lasciata la lezione, si diresse verso una cabina telefonica per chiamare Federica, la sorella maggiore e riferirle che un uomo l’aveva fermata e le aveva proposto un lavoro di volantinaggio per una sfilata di moda, retribuito 370.000 lire (l’equivalente degli attuali 800 euro); il lavoro riguardava, secondo quanto spiegato dalla giovane, promuovere dei prodotti cosmetici durante una sfilata di moda presso l’atelier delle Sorelle Fontana. La sorella le sconsigliò di prendere in considerazione la cosa e le disse di parlarne con i genitori. Questo fu l’ultimo contatto di Emanuela con la sua famiglia. Dopo la scomparsa venne naturalmente fatta un’indagine in merito alla casa di cosmetici che si dichiarò estranea ai fatti. In quel periodo, altre giovani avevano ricevuto offerte simili, risultate poi fasulle.
A questo punto Emanuela insieme a due compagne, Maria Grazia e Raffaella, si avviò verso la fermata del bus su Corso Rinascimento. Secondo quanto dichiarato dalle due giovani, Emanuela parlò anche con loro di una proposta di lavoro molto interessante, anche le due amiche la misero in guardia, ma lei spiegò che avrebbe affrontato l’argomento insieme ai suoi genitori. Le due amiche alle 19.30 salirono su due bus differenti dirette a casa, Emanuela decise di attendere quello successivo, per via del troppo caos sul mezzo. E da questo momento di lei si andarono a perdere le tracce. Vi è un’altra versione, che vede Emanuela confidarsi con un’amica, sempre compagna di scuola, Raffaella, che sarebbe rimasta lì ad attendere l’uomo che le aveva fatto la proposta di lavoro, per spiegargli che avrebbe dovuto parlarne prima con i suoi genitori. Raffaella spiegò che Emanuela l’avrebbe accompagnata alla fermata dell’autobus, per salirvi alle 19.30. Raffaella aggiunse inoltre di aver visto Emanuela dal finestrino del mezzo, parlare con una donna con i capelli ricci, mai identificata.
Ercole, il padre di Emanuela, iniziò immediatamente, insieme al figlio, le ricerche presso la scuola di musica e nei dintorni. Contattò il preside che gli consigliò di attendere qualche giorno prima di allertare la polizia. Ercole Orlandi si recò invece subito al commissariato per denunciare la scomparsa della figlia. Il personale disse all’uomo che probabilmente la ragazza si era trattenuta fuori a cena con gli amici, quindi la denuncia di scomparsa venne fatta il giorno dopo, 23 giugno.
Il 24 giugno, sui quotidiani romani, vennero pubblicati i primi articoli riguardanti la scomparsa della ragazza, con la richiesta di aiuto da parte della famiglia. Dal 25 giugno iniziarono le prime telefonate, diverse poco attendibili poi la telefonata di tale Pierluigi che raccontò loro di aver incrociato una ragazza che diceva di chiamarsi Barbara, la giovane aveva con sé un flauto, Pierluigi raccontò di aver chiesto a Barbara di suonare il flauto ma che questa si sarebbe rifiutata perché per farlo avrebbe dovuto indossare gli occhiali da vista e la cosa la metteva molto in imbarazzo. Pierluigi richiamò dopo tre ore per aggiungere al suo racconto altri dettagli: che gli occhiali di ‘Barbara’ erano «a goccia, per correggere l’astigmatismo». Il ragazzo rifiutò di parlare con i familiari di Emanuela, che avrebbero invece voluto incontrarlo poiché quanto dichiarato da Pierluigi risultava molto attendibile con la personalità di Emanuela. Pierluigi chiamò nuovamente il 26 giugno per dare alcune informazioni su se stesso: disse di avere 16 anni, di trovarsi al mare con i genitori in un ristorante, e disse inoltre che ‘Barbara’ avrebbe dovuto suonare al matrimonio della sorella in programma per settembre. Arrivarono altre telefonate all’abitazione degli Orlandi, fatte probabilmente da mitomani e più che altro poco attendibili che fecero perdere fiducia alla famiglia anche nei confronti di quanto raccolto dalle conversazioni telefoniche con Pierluigi.
Le indagini sulla scomparsa di Emanuela vorticarono intorno ad avvistamenti mai effettivamente confermati. Venne vista parlare con un uomo sia da un agente di polizia che da un vigile, davanti al Senato. Il vigile riferì in seguito che la giovane era in compagnia di un uomo alto 1.75, sui 35/40 anni. Un uomo snello, con il viso lungo, stempiato. Con una valigetta e una borsa, che sarebbe giunto a bordo di una BMW Touring verde. Iniziò così la caccia alla vettura indicata, tramite un amico dei cugini della Orlandi, Giulio Gangi, collaboratore del SISDE che riuscì a rintracciare il mezzo, presso un meccanico del quartiere Vescovio. Tramite il meccanico si scoprì che la macchina era stata portata a far riparare da una donna bionda. La macchina aveva un vetro rotto, infranto dall’interno verso l’esterno. Gangi riuscì a rintracciare la donna che però si rifiutò di collaborare. Gangi fece le dovute ricerche anche presso l’atelier sopra citato, quello delle sorelle Fontana, che gli spiegarono di come, diverse giovani si fossero presentate illuse di poter lavorare da loro come presentatrici di cosmetici.
Il Papa stesso, Giovanni Paolo II, fece un appello durante l’Angelus, parlando quindi per la prima volta ufficialmente di sequestro. Fu così che il 5 luglio, alla sala stampa vaticana, giunse la telefonata di un uomo, che la stampa battezzo come ‘l’Amerikano’, per via dell’accento anglosassone. Quest’ultimo dichiarò di tenere Emanuela in ostaggio dichiarando inoltre che, dalle precedenti telefonate, tra cui quella di Pierluigi, erano stati forniti ulteriori dettagli, che si trattava di suoi collaboratori. Nella sua telefonata tirava in causa Mehmet Ali Ağca, colui che aveva sparato al Papa un paio di anni prima, chiedeva che questo venisse liberato. L’uomo chiamò anche a casa Orlandi, facendo sentire ai genitori di Emanuela un nastro con la voce di una ragazza, con una chiara inflessione romana, che ripeteva una frase sei volte: «Scuola: Convitto Nazionale Vittorio Emanuele II, dovrei fare il terzo liceo ‘st’altr’anno… scientifico». Nei giorni successivi arrivò una telefonata ad una compagna di conservatorio di Emanuela, un uomo dichiarava che la 15enne era nelle loro mani e nuovamente chiedeva lo scambio con Ali Ağca. La giovane spiegò che, si era scambiata il numero di telefono il giorno della sparizione, con Emanuela, per mettersi d’accordo con lei riguardo un concerto, che Emanuela lo aveva trascritto e riposto nella tasca dei jeans. L”Amerikano’ chiamò in totale 16 volte ma senza portare a nulla di concreto. Nessuna prova dimostrava l’esistenza in vita di Emanuela e nessuna connessione con i Lupi grigi, l’organizzazione a cui apparteneva Ağca. Nonostante i lupi grigi stessi dichiararono poi di avere Emanuela – e anche un’altra ragazza scomparsa, Mirella Gregori – nelle loro mani, questo venne successivamente sconfessato da un ex ufficiale della Stasi Günter Bohnsack. L’estraneità dei Lupi grigi venne poi confermata da un pentito della Banda della Magliana Antonio Mancini, che dichiarò nel 2007: «Si diceva che la ragazza era roba nostra, l’aveva presa uno dei nostri»
Alla redazione del programma ‘Chi l’ha visto?’ l’11 luglio 2005, arrivò una telefonata in cui si diceva che, per risolvere il caso sarebbe stato necessario andare nella basilica di Sant’Apollinare, per vedere chi vi fosse sepolto, e controllare «del favore che Renatino fece al cardinal Poletti». Venne scoperto che vi era sepolto un boss della Banda della Magliana, Enrico De Pedis, la sepoltura era stata autorizzata dal cardinale Ugo Poletti, presidenti, allora, della CEI. Nel 2006, in un’intervista, Sabrina Minardi, ex moglie di un calciatore della Lazio, dichiarò che aveva avuto una relazione con De Pedis tra la primavera del 1982 e il novembre del 1984.
Nel 2007, un pentito della Banda della Magliana, Antonio Mancini, parlò del coinvolgimento di De Pedis e di alcuni esponenti del Vaticano, nel caso Orlandi, spiegando inoltre che all’epoca della scomparsa di Emanuela, in carcere, «si diceva che la ragazza era roba nostra (della Banda, ndr), l’aveva presa uno dei nostri», dichiarazioni confermate anche da un altro pentito, Maurizio Abbatino
La Minardi venne sentita dagli organi giudiziari nel 2008, e dichiarò che Emanuela era stata uccisa e il suo corpo chiuso in un sacco e gettato in una betoniera e Torvaianica. Disse inoltre che fu in quell’occasione che De Pedis si liberò anche del corpo di un bambino di 11 anni, Domenico Nicitra, ucciso per vendetta, figlio di un esponente della Banda, Salvatore Nicitra. Il bimbo venne però ucciso il 21 giugno del 1993, dieci anni dopo l’epoca alla quale la Minardi fa risalire l’episodio, tre anni dopo la morte di De Pedis. Il rapimento della Orlandi sarebbe stato effettuato dunque da De Pedis, su ordine di monsignor Marcinkus «come se avessero voluto dare un messaggio a qualcuno sopra di loro».
La Minardi disse di essere arrivata in auto al bar del Gianicolo, De Pedis le aveva detto che lì avrebbe incontrato una giovane, che l’avrebbe dovuta «accompagnare al benzinaio del Vaticano». Arrivò sul posto con una BMW scura, “Sergio”, l’autista di De Pedis, e una Renault 5 con la governante di Daniela Mobili, un’amica della Minardi, chiamata “Teresina”, insieme a questa una ragazzina confusa, forse drogata, Emanuela. Una volta rimasta sola con la giovane, notò che «piangeva e rideva insieme» e «sembrava drogata». Giunta poi al benzinaio, trovò una Mercedes con la targa Vaticana, ed un uomo a bordo «che sembrava un sacerdote» e prese con sé la ragazza. La prigionia di Emanuela sarebbe quindi trascorsa a Roma, per la precisione in un’abitazione di Daniela Mobili in via Antonio Pignatelli 13 con «un sotterraneo immenso che arrivava quasi fino all’Ospedale San Camillo» e di lei si sarebbe occupata la governante, la sopra citata “Teresina”. La Mobili negò di conoscere la Minardi o di avere partecipato al rapimento, la donna in quel periodo si trovava, così come il marito, in prigione. Un altro componente della Banda, rintracciato dalle forze dell’ordine successivamente, confessò che il rifugio in questione, era effettivamente un nascondiglio «ma non per i sequestrati, [bensì] per i ricercati. Era il rifugio di “Renatino” [De Pedis]»,
Secondo la Mainardi, Andreotti «non c’entra direttamente con Emanuela Orlandi, ma con monsignor Marcinkus sì». Le dichiarazioni della donna, vennero riconosciute dagli inquirenti come parzialmente incoerenti, acquisirono però maggior credibilità nell’agosto del 2008, quando venne ritrovata, nel parcheggio di Villa Borghese, la BMW che la Minardi, aveva raccontato di aver utilizzato per trasportare Emanuela. La vettura, era appartenuta prima a Flavio Carboni, un imprenditore indagato e assolto per il processo riguardante la morte di Roberto Calvi, e poi ad uno dei membri della Banda. La Minardi venne interrogata dalla Procura di Roma, dal procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo e dal pubblico ministero Simona Maisto, in merito a delle telefonate giunte all’epoca della sparizione da parte di un certo “Mario”, la donna parlò della vera identità dell’uomo. La Minardi, in un’altra intervista a Rai News 24, disse che Emanuela aveva trascorso i primi quindici giorni del rapimento a Torvaianica, nella casa al mare dei genitori della Minardi. Il 10 marzo 2010 emerse il nome di un nuovo indagato, Sergio Virtù, la Minardi parlò di lui come l’autista di fiducia di De Pedis, che avrebbe avuto anche un ruolo nel sequestro di Emanuela. Quest’ultimo era indagato per omicidio volontario e sequestro di persona. Virtù venne arrestato il giorno dell’interrogatorio per altri reati e portato nel carcere di Regina Coeli. Nel luglio 2010, dal Vicariato di Roma, venne dato il via libera all’ispezione della tomba con il prelievo del Dna sul fratello di De Pedis, sui famigliari di Emanuela e anche su Antonietta Gregori, sorella di Mirella.
Giuseppe De Tomasi, noto come Sergione, venne arrestato dalla procura distrettuale di Roma nel luglio 2011, insieme ad altri componenti della famiglia romana De tomasi, affiliati alla Banda della Magliana. Giuseppe De Tomasi, sarebbe la stessa persona che nel 1983 chiamò la famiglia Orlandi identificandosi come ‘Mario’. Il figlio invece, Carlo Alberto De Tomasi, sarebbe stato l’autore della telefonata al programma ‘Chi l’ha visto?’ del 2005. De Pedis venne arrestato in un appartamento nel 1984, intestato al prestanome Giuseppe De Tomasi che era amico di Franco Nicolini e dei Proietti, che uccisero Franco Giuseppucci, e fu graziato da De Pedis. De Tommasi disse di non poter aver fatto quella chiamata, poiché nel 1983 era in carcere. Antonio Mancini, in un’intervista del 24 luglio a La Stampa, dichiarò in effetti che la Orlandi venne rapita dalla Banda per poter avere indietro dei soldi, investiti dallo IOR tramite il Banco Ambrosiano. Mancini aggiunse inoltre di trovare la cifra di 20 miliardi di lire, sottostimata e che fu De Pedis a far cessare gli attacchi contro il Vaticano, anche se i soldi non vennero tutti restituiti. In cambio, chiese di essere seppellito nella basilica di Sant’Apollinare, come poi avvenne.
La tomba di De Pedis venne finalmente aperta il 14 maggio 2012, al suo interno venne però trovato solo il corpo del defunto. Si scavò così più a fondo, e vennero alla luce delle nicchie con delle ossa risalenti al periodo napoleonico. Nessuna traccia del Dna di Emanuela e Mirella. Quattro giorni dopo, il 18 maggio, venne indagato don Pietro Vergari per concorso in sequestro di persona. Il GIP, nell’ottobre del 2015, su richiesta della Procura, archiviò per mancanza di prove, l’inchiesta sulle sparizioni di Emanuela Orlandi e Mirella Gregori, nata nel 2006, per via delle dichiarazioni di Sabrina Minardi che vedeva sei indagati per concorso in omicidio e sequestro di persona: monsignor Pietro Vergari, ex rettore della basilica di Sant’Apollinare dove fino al 2012 è stato sepolto De Pedis, Sergio Virtù, l’autista del boss, Angelo Cassani, Gianfranco Cerboni, Sabrina Minardi e Marco Accetti. Abbatino, nel 2018, in un’intervista di Raffaella Fanelli, rivelò di aver saputo, che dietro al sequestro di Emanuela c’erano quelli di Testaccio, e quindi De Pedis, e fornì anche una spiegazione:
«Per i soldi che aveva dato a personaggi del Vaticano. Soldi finiti nelle casse dello IOR e mai restituiti. E non c’erano solo i miliardi dei Testaccini ma pure i soldi della mafia. L’omicidio di Michele Sindona e quello di Roberto Calvi sono legati al sequestro Orlandi. Se non si risolve il primo non si arriverà mai alla verità sul presunto suicidio di Calvi e sulla scomparsa della ragazza. Secondo me non fu un ordine [della mafia, ndr] ma una cosa fatta in accordo. So dei rapporti di Renatino [De Pedis, ndr] con monsignor Casaroli. Posso confermare i rapporti della banda con il Vaticano. Ma non ho mai conosciuto don Vergari. Può anche aver fatto beneficenza ma sicuramente non era cattolico, Renato era buddhista. I rapporti tra Vaticano e banda della Magliana risalgono a quegli anni lì [almeno al 1976, ndr]. E si devono alle amicizie di Franco. C’era un ragazzo omosessuale, si chiamava Nando. Fu lui a portare Franco da Casaroli. Di Casaroli si sapeva. Giuseppucci lo conosceva. E so che poi questa amicizia fu “ereditata” da Renatino.»
Un’altra pista investigativa portava verso alcuni festini a sfondo sessuale, in cui sarebbero stati coinvolti dei membri del clero, un gendarme vaticano e del personale diplomatico di un’ambasciata straniera presso la Santa Sede. Altre indagini ancora si spingevano fino a Boston, e vedevano coinvolti dei preti pedofili. Secondo uno dei più importanti preti esorcisti della storia, Padre Gabriele Amorth, Emanuela venne drogata e uccisa in un’orgia di pedofili in Vaticano. Un’ipotesi che l’esorcista avanzò in un’intervista a La Stampa, e poi pubblicata anche nel suo libro, ‘L’ultimo esorcista’. Nell’intervista, l’esorcista dichiarò: «Come dichiarato anche da monsignor Simeone Duca, archivista vaticano, venivano organizzati festini nei quali era coinvolto come “reclutatore di ragazze” anche un gendarme della Santa Sede. Ritengo che Emanuela sia finita vittima di quel giro. […] Non ho mai creduto alla pista internazionale, ho motivo di credere che si sia trattato di un caso di sfruttamento sessuale con conseguente omicidio poco dopo la scomparsa e occultamento del cadavere. Nel giro era coinvolto anche personale diplomatico di un’ambasciata straniera presso la Santa Sede». Sono diverse le voci che parlano di una fine analoga a quella raccontata da Padre Amorth, anche una fonte anonima del 2005, avrebbe parlato di un ‘incontro conviviale’ tenutosi in zona Gianicolo, quindi vicino al capolinea dell’autobus che avrebbe dovuto prendere la ragazza per rientrare a casa, nella residenza di un alto prelato o di una persona vicina agli ambienti vaticani.
Un ex agente del SISMI, intervenuto in diretta TV il 17 giugno 2011, mentre Pietro Orlandi parlava del libro ‘Mia sorella Emanuela’ dichiarò che Emanuela era viva: «Emanuela è viva, si trova in un manicomio in Inghilterra ed è sempre stata sedata» spiegando inoltre che la causa del rapimento fu la conoscenza da parte del padre, Ercole Orlandi, di attività di riciclaggio di denaro ‘sporco’, in connessione con il rapimento Calvi e il crack dell’Ambrosiano.
Il giornalista Emiliano Fittipaldi, nel settembre 2017, pubblicò il libro: “Gli impostori. Inchiesta sul potere”. Fittipaldi a maggio, era riuscito ad ottenere un report datato 28 marzo 1998, che era stato inviato per conoscenza a quello che all’epoca era il capo dell’APSA (l’ente che amministra il patrimonio della Santa Sede), cardinale Lorenzo Antonetti, agli arcivescovi Giovanni Battista Re e Jean-Louis Tauran, intitolato: “Resoconto sommario delle spese sostenute dallo stato Città del Vaticano per le attività relative alla cittadina Emanuela Orlandi“, nel primo capoverso era riportato: “La prefettura dell’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica ha ricevuto mandato di redigere un documento di sintesi delle prestazioni economiche resosi necessarie a sostenere le attività svolte a seguito dell’allontanamento domiciliare e delle fasi successive allo stesso della cittadina Emanuela Orlandi.” Secondo il documento, la ragazza era in vita, sarebbe stato rubato nella notte tra il 29 e il 30 marzo 2014, non venne commessa alcuna effrazione, il documento si trovava nella cassaforte di un armadio blindato all’interno della Prefettura degli affari economici, ed era sotto la responsabilità del segretario Lucio Ángel Vallejo Balda, arrestato il 2 novembre 2015 nell’ambito del cosiddetto Vatileaks 2. Francesca Chaouqui, nel suo libro “Nel nome di Pietro”, rivelò che, nell’armadio vi era, oltre al documento sulla Orlandi, anche un dossier su Michele Sindona e Umberto Ortolani, sullo IOR e sulle spese politiche di Papa Giovanni Paolo II all’epoca della Guerra fredda.
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Il report riguardante Emanuela Orlandi, era un dattiloscritto con un carattere risalente a 20 anni fa, senza timbri ufficiali e dunque sarebbe anche potuto essere un falso. Venivano elencate le spese sostenute tra il gennaio 1983, quindi sei mesi prima della scomparsa di Emanuela e il luglio 1997, per gestire la questione Orlandi, per una somma totale di 483 milioni di lire.
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Negli ultimi anni, nel 2018 e 2019, il Vaticano ha dato il via libera per poter analizzare il DNA su alcune ossa ritrovate durante i lavori di restauro, nel 2018 presso la sede della Nunziatura Vaticana di via Po a Roma. Dalle analisi della Polizia Scientifica, le ossa non appartenevano né a Emanuela Orlandi e nemmeno a Mirella Gregori, l’altra 15enne scomparsa un mese prima di Emanuela. L’analisi del 2019 riguardava invece l’ispezione di due tombe nel cimitero Teutonico, quelle della principessa Sofia di Hohenlohe-Waldenburg-Bartenstein e della principessa Carlotta Federica di Meclemburgo-Schwerin dopo alcune specifiche segnalazioni ma al loro interno non vennero rinvenuti resti umani.
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