Trascorso il Consiglio federale della Lega, si iniziano a tirare le somme di quella che dà tutta l’idea di essere una pace armata tra le diverse correnti della Lega. I componenti del Consiglio hanno votato per riconfermare la fiducia al segretario Matteo Salvini, ribadendo che le decisioni sulla linea politica spettano a lui. Ma gli animi sono lontani dal placarsi.
E’ un Matteo Salvini sorridente, quello uscito dal Consiglio federale della Lega che – all’unanimità – lo ha riconfermato leader del partito. Nell’incontro, i vertici di partito hanno confermato: la definizione della linea politica spetta esclusivamente a lui. Eppure, a ben guardare, quel sorriso da leader sfoggiato a favore di telecamera assomiglia più a una posa rassicurante che a una reale tranquillità: quattro ore e mezza di discussione sul futuro della Lega, sul governo Draghi e sulla collocazione europea del partito sono servite a placare gli animi della Lega, ma non a uniformarli. Così, il giorno dopo il Consiglio federale il partito resta attraversato da quelle che, ormai, possono essere definite a tutti gli effetti “correnti” (checché ne dicano i diretti interessati). Stando a quanto riportato da Agi, il capo di via Bellerio avrebbe identificato la causa di questa crisi politica nella perdita di identità: per questo il progetto è di ritrovare un preciso profilo politico prima delle elezioni del 2023, attraverso una piattaforma programmatica e un preciso posizionamento in Europa.
La Lega e Mario Draghi, un rapporto complicato
Il dito, a questo punto dell’analisi, punta proprio verso l’entrata nel governo Draghi: il supporto al neonato governo al momento non va ritirato, ma è necessario riconoscere – ribadisce Salvini – che il prezzo pagato in termini di consenso è stato molto alto. Questo tipo di riflessioni risulta tanto più importante quanto più ci si avvicina a decisioni politiche che, potenzialmente, potrebbero stravolgere la fisionomia dell’attuale governo. Prima tra tutte, l’elezione del presidente della Repubblica. Tra bluff e proposte seriose, il nome di Mario Draghi continua a spuntare nella lista dei possibili candidati e a tal proposito il leader leghista ha spiegato che da parte sua non esclude l’ipotesi di un sostegno del suo partito. Tuttavia, in merito alla figura di Draghi, Salvini ribadisce l’intenzione di ritagliarsi una porzione di autonomia: la fiducia data al premier viene rinnovata solo se l’ex presidente della Bce è in grado di conquistarsela.
Leggi anche: Terza dose, quali sono effetti gli collaterali?
Tutta la distanza tra Giorgetti e Salvini
A quel punto, stando all’Agi, sarebbe venuto il turno di Giancarlo Giorgetti che – pur ammettendo i suoi errori di comunicazione – ha ribadito una visione politica nettamente distante da quella salviniana: per il ministro dello Sviluppo economico l’unico modo per andare lontano sarebbe muoversi all’interno del recinto di Draghi, sia a livello nazionale che a livello europeo. A questo punto, la distanza tra i due sembra più ampia che mai. Se per Salvini è necessario recuperare un’identità politica autonoma dalla linea politica del premier, per Giorgetti è necessario insistere proprio in quella direzione per recuperare credito ed essere in grado di governare. La distanza si fa tanto più evidente quanto più ci si proietta al di fuori dei confini nazionali: per Giorgetti la Lega dovrebbe aderire al Ppe, in modo da ottenere un riconoscimento a livello europeo che le consenta di governare, per Salvini quel riconoscimento internazionale passa attraverso Orban e Morawiecki. Sulla questione Green Pass, invece, la Lega di governo e quella di lotta sembrerebbero essersi avvicinate maggiormente: quando i governatori hanno chiesto al segretario di fermare i “liberi pensatori” del Green Pass, Salvini ha ammesso la presenza di corto circuiti nella linea del partito.
Eppure, nonostante la conciliazione finale, la matassa resta ancora tutta da sbrogliare. Il segretario leghista avrebbe chiesto a Giorgetti di prendere una posizione pubblica definita, in grado di superare i controcanti fino ad ora emersi dal partito. Il ministro dello Sviluppo economico avrebbe risposto solo in parte alle richieste di Salvini, esplicitando il mea culpa per le sue dichiarazioni alla stampa ma difendendo la linea governativa affine alle decisioni del premier. All’interno di questo quadro, la situazione potrebbe andare verso un’evoluzione più definitiva in occasione del congresso dell’11 e del 12 dicembre, quando i diversi umori del partito avranno occasione di dialogare in maniera strutturata una seconda volta, e di definire con maggiore chiarezza l’atteggiamento della Lega nei confronti del governo Draghi.
Leggi anche: De Luca indagato per lo scandalo Coop, l’accusa è di corruzione
Uno stato confusionale
Nel frattempo, all’interno del partito continuano a moltiplicarsi le anime e le posizioni di fronte una confusione politica che diventa sempre più evidente, nonostante le dichiarazioni dei vertici. Nei giorni precedenti Roberto Maroni, uno dei fondatori della Lega, ha ribadito l’esortazione rivolta a Salvini: è necessario seguire i consigli di Giorgetti per evitare di sbattere contro un muro. Oggi in un’intervista al Corriere della Sera Riccardo Molinari, capogruppo della Lega alla Camera, ha ribadito il totale sostegno della Lega al governo Draghi, rivendicando l’assunzione di responsabilità di cui il partito si è fatto protagonista. “In questi mesi, a volte noi siamo stati critici, non è facile per un partito come la Lega stare al governo con Pd e M5S. Ma Draghi può stare tranquillo. Noi saremo leali come siamo sempre stati, al punto da appoggiare provvedimenti in cui non credevamo al 100%, consapevoli dell’emergenza (…) Se non l’avessimo fatta (la decisione di entrare in maggioranza, ndr), avremmo al governo Conte e i Responsabili. E invece, la scelta nostra e di Forza Italia ha fatto fallire il progetto”. In merito alla collocazione in Europa, ad ogni modo, Molinari ribadisce: “Penso sia giusto non entrare nel Partito popolare. Del resto, è come con Umberto Bossi e Roberto Maroni. La nostra impostazione è sempre stata alternativa a quella di una globalizzazione che concentra la ricchezza in poche mani e passa sopra alle identità territoriali e alle comunità sociali tra cui, in primo luogo, la famiglia. Parlare di famiglia non è qualcosa di bigotto o di destra, dirlo è un riflesso condizionato della sinistra”.
Leggi anche: Salvini leader riconfermato, tregua con Giorgetti: cosa accade nella Lega?
Poi, a confondere ulteriormente le carte, addirittura la messa in discussione della collocazione politica della Lega: mentre Salvini ribadisce di voler creare una forza politica chiaramente alternativa alla sinistra, Molinari sembra sottolineare come non sia esattamente quello l’orizzonte politico. “Ma guardi che noi guardiamo a sinistra. O meglio, a quel mondo che la sinistra ha abbandonato. Lavoratori, artigiani impoveriti, piccole imprese che non hanno avuto le risorse o le competenze per innovare. La sinistra oggi è per la contrazione dei diritti, per il Jobs act, è ultraliberista al limite del darwinismo sociale. L’alternativa è il reddito di cittadinanza? Noi siamo alternativi a entrambi i modelli”, dice Molinari all’intervistatore. Intanto, Salvini al workshop della Scuola politica del partito a Milano avrebbe affermato: in Ue “il problema non è portare la Lega in gruppetti che inseguono la sinistra, perché se noi politicamente e culturalmente inseguiamo la sinistra abbiamo perso. L’agenda la dobbiamo scrivere noi“. E adesso siamo completamente confusi.