Suicidio in Questura, guardavano il cellulare mentre il detenuto si impiccava

Suicidio in Questura, due agenti guardavano il telefonino mentre il detenuto si impiccava. Finiscono a giudizio per omicidio colposo.

I poliziotti dovevano controllare tramite i monitor le persone trattenute in Questura in attesa dell’identificazione, ma si sono distratti e hanno perso di vista un 34enne algerino. Il giudice delle indagini preliminari non ha accolto la richiesta di archiviazione e ha imposto alla Procura di formulare nei confronti di due agenti di Polizia l’imputazione di omicidio colposo.

Poliziotti accusati di omicidio colposo: sotto i loro occhi si è suicidato un uomo

La mattina del 23 agosto 2020 un uomo algerino si è suicidato: i due agenti che dovevano controllare con attenzione i monitor di sicurezza, avrebbero avuto lo sguardo concentrato per lo più sugli schermi dei propri telefonini. La contestazione penale è dunque costruita sull’ipotesi che nei due poliziotti, addetti a controllare le persone trattenute nelle camere di sicurezza in attesa della identificazione, il non aver impedito un evento che avevano l’obbligo giuridico di non far accadere.

Per il giudice non è vero che i due poliziotti non potevano avere sentore degli intenti autolesionistici del 34enne, visto che la stessa annotazione di servizio segnala come l’uomo colpisse con mani e piedi la porta e la finestra della camera di sicurezza: «Uno stato di agitazione che avrebbe richiesto una vigilanza ancora più attenta e mirata». Il giudice ha valorizzato anche la tempistica, in quanto l’uomo cominciò ad attuare le manovre per il suicidio alle 10.47 ed esse durarono molti minuti, e «gli spasmi causati dallo strozzamento impegnarono altri tre minuti e sono chiaramente visibili dal video della sorveglianza».

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Secondo la relazione del medico-legale l’algerino sarebbe potuto essere soccorso in un arco di tempo di 30 minuti, mentre il suo corpo senza vita è stato trovato un’ora e 10 minuti dopo il suicidio. «Non può non sottolinearsi la scarsissima attenzione dedicata dagli agenti agli schermi della videosorveglianza, impegnati com’erano osservare lo schermo del proprio telefono». È vero che la posizione dell’uomo, impiccatosi da seduto, poteva apparire ambigua, «ma se gli agenti avessero prestato attenzione continuativa allo schermo che proiettava in tempo reale le immagini della videosorveglianza, si sarebbero certamente avveduti delle azioni preparatorie ed esecutive dell’impiccamento da parte dell’uomo».

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La Procura per chiedere l’archiviazione rilevava anche che i due agenti nello stesso periodo di tempo avevano dovuto badare alle pratiche burocratiche per l’arrivo di un altro fermato in camera di sicurezza, ma il giudice ha obiettato che sarebbe bastato che un agente sbrigasse le pratiche e l’altro mantenesse la sorveglianza sui monitor di sicurezza interna. E’ concorde con il pubblico ministero sul fatto che «fosse consentito che una camera di sicurezza avesse delle sbarre orizzontali alle finestre, congeniali a chi abbia intenti di suicidio». Allo stesso modo ha pesato la scarsa esperienza degli agenti, molto giovani e all’inizio della carriera, il che «li ha portati a una sottovalutazione del rischio che si stava concretizzando sotto i loro occhi».

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