I Paesi del G20 sono riuniti oggi e domani a Roma, tanti i dossier sul tavolo. Tra quelli prioritari il clima, ma quanto pesano le emissioni dei 20 paesi che stanno discutendo di sostenibilità?
I Paesi del G20 sono responsabili di quasi l’80% delle emissioni globali di CO2. Gli altri 188 Paesi della Terra si dividono il restante 20%. Nel gruppo del G20, la Cina è il principale inquinatore. Un quarto delle emissioni di anidride carbonica è a carico del gigante asiatico, seguito dagli Stati Uniti. Al secondo posto, con quasi il 15% circa gli Stati Uniti. Poi Unione Europea e India: il subcontinente rilascia da solo il 7% del principale gas serra.
Dal G20 è già emerso come obbiettivo principale quello di mantenere l’aumento della temperatura al di sotto di 1,5°C e per questo l’impegno è quello di mobilitare $100 miliardi all’anno fino al 2025 per finanziare la transizione verde nei Paesi in via di sviluppo. La partita però si gioca su due fronti principali: la decontribuzione delle energie fossili e l’abbandono del carbone. Il taglio delle emissioni è al centro della Cop 26, la conferenza sul clima organizzata a Glasgow che deve dar seguito all’Accordo di Parigi del 2015. Cioè l’impegno a limitare il riscaldamento climatico entro 1,5 gradi entro la fine del secolo.
Non ci sono ancora accordi chiari su questi punti e senza dei rapidi provvedimenti e inversioni di marcia le temperature potrebbero aumentare di 2,7°C entro fine secolo. L’Australia, membro del G20, è uno dei principali esportatori del combustibile che alimenta buona parte delle centrali elettriche del planisfero. La Cina ha rimandato di dieci anni l’azzeramento delle emissioni nette, spostando il traguardo al 2060. L’India, facendo leva sulla sua posizione di Paese in via di sviluppo, rivendica la dipendenza dal carbone per trainare la crescita economica.
«Con la Cop26 non possiamo permetterci di fallire». Ha affermato il presidente del Parlamento Ue David Sassoli. «Le nazioni del G20 devono guidare il summit, perché l’80% delle emissioni di gas serra in tutto il mondo viene prodotto dai nostri Paesi. Abbiamo bisogno che ognuno dei nostri Stati si impegni a seguire l’esempio dell’Ue e raggiunga la neutralità climatica entro il 2050».
Leggi anche: Cos’è il G20? Storia e criticità del forum delle grandi economie mondiali
Un’ ulteriore conferma sui dati pessimi la si può leggere nel Climate Transparency Report, il rapporto più interessante e completo sulle emissioni prodotte dai Paesi del G20 e sul loro percorso verso l’energia pulita. Il 202o -complice la Pandemia- aveva fatto registrare una riduzione del 6% della produzione di gas serra derivante dal consumo di energia nelle venti potenze mondiali. il 2021 fa prevedere un rialzo del 4%.
Secondo Kim Coetzee, coordinatrice di Climate Analytics, una delle organizzazioni che hanno contribuito alla redazione di questo importante studio, per affrontare questa sfida i governi del G20 devono presentarsi al tavolo con obiettivi nazionali più ambiziosi. «I numeri di questo rapporto confermano che non possiamo spostare il quadrante senza di loro. Loro lo sanno, noi lo sappiamo. La palla è saldamente nel loro campo prima della Cop26». L’Italia ha come obbiettivo nazionale quello di abbattere le emissioni di gas serra del 38% al di sotto dei livelli del 2005 (circa 366 MtCO2e) entro il 2030, il report sottolinea che per mantenersi entro il limite di temperatura di 1,5°C le emissioni al 2030 del nostro Paese dovrebbero essere di circa 165 MtCo2e (o il 72% al di sotto dei livelli del 2005). Ciò significa che, tuttora, sussiste un gap da colmare di 201 MtCo2e. Questo significa che nonostante le emissioni di gas serra pro capite nazionali sono più basse della media del gruppo dei Paesi del G20 (6,5 tCO2e contro 7,5) e nonostante la tendenza di riduzione sia più marcata (-0,94% fra il 2013 e il 2018 contro la media G20 del -0,71%), l'Italia non è allineata all’obiettivo più ambizioso di Parigi (+1,5°C).
Leggi anche: Al via il G20 di Roma: i punti principali e le criticità del summit
I dati sulla dipendenza dei combustibili fossili registrano una continuità di trend negativo: il consumo di gas ha registrato, tra il 2015 e il 2020, un incremento del 12% e quello del carbone del 5% in un anno. In quest’ultimo caso, la crescita è trainata soprattutto da Cina (61%) – suo più grande produttore e consumatore – Stati Uniti (18%) e India (17%). «Dei 1,8 trilioni di dollari di spesa per la ripresa, solo 300 miliardi sono andati alla tanto sbandierata ripresa “verde”, mentre i combustibili fossili continuano a essere sovvenzionati», ha spiegato Coetzee.
Negli ultimi sessant’anni le emissioni dei Paesi del G20 sono solo cresciute:
Il Paese che più ha incrementato le emissioni è l’India, con una variazione di oltre il 2000% rispetto al 1960. Our World Data ha spiega che l'impennata è avvenuta dagli anni 90. La Cina è al secondo posto per aumento delle emissioni di Co2 in atmosfera, con un aumento di quasi 1200 punti percentuali rispetto agli anni Sessanta.
L’Unione europea inquina il 40% in più rispetto all’inizio della rilevazione. Un dato migliore degli Stati Uniti, le cui emissioni rispetto agli anni Sessanta sono salite di 83 punti. L'unico stato 'virtuoso' per ora è Il Regno Unito che ha ridotto la sua quota di emissioni di circa il 30%. La Francia ne ha contenuto la crescita entro il 20%, mentre la Germania ha ridotto la Co2 rilasciata di oltre dieci punti rispetto al 1960.