La Polizia ha perquisito le loro abitazioni e i ragazzi avrebbero già confessato i fatti di cui sono stati accusati, sostenendo che si trattava di semplici goliardate
La Polizia di Stato, in collaborazione con la sezione distrettuale dell’antiterrorismo a Milano, ha notificato otto decreti di perquisizione nei confronti di altrettanto persone, accusate di razzismo e pesanti offese razziali a dei cittadini ebrei, nel corso della Giornata della Memoria. Secondo gli inquirenti gli indagati, e si tratta di ragazzi molto giovani, tutti minorenni con l’eccezione di un 21enne, sono entrati illegalmente nel sistema informatico che stava ospitando l’incontro su zoom nella data del 26 Gennaio 2021. L’Associazione Italiana Israele di Venezia aveva infatti organizzato una conferenza on line per celebrare il ricordo di tutti coloro che sono morti morti a causa delle leggi razziali dei regimi totalitari degli anni 30.
Entravano nelle conferenze online dedicate alla Giornata della Memoria inneggiando al duce
Ma subito dopo che l’evento è iniziato, i partecipanti hanno iniziato a sentire delle voci in sottofondo, che si erano letteralmente intrufolate all’evento, che inneggiavano apertamente al duce con altre frasi a sfondo fascista e razziale. Ma non solo, perché oltre le offese, i partecipanti avvertivano anche in sottofondo delle musiche tipiche del ventennio fascista in Italia. Gli stessi indagati, spiega la Procura, sono poi riusciti anche ad accedere illegalmente a un secondo evento, organizzato il 4 Febbraio 2021, anche questo direttamente ricollegato alla Giornata della Memoria. Tre incontri organizzati dal professore Raffaele Mantegazza, intitolato “Lo Zaino della Memoria”, in cui i “disturbatori” hanno utilizzato lo stesso modus operandi per inneggiare al fascismo umiliando così gli organizzatori. Le perquisizioni condotte dalle forze dell’ordine nelle abitazioni degli indagati hanno permesso di scovare diversi dispositivi elettronici che adesso sono sotto sequestro.
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Gli inquirenti hanno poi scoperto che i ragazzi interagivano su una chat Telegram che avevano ridenominato con il nome di “zoomannari” che però non risulta più attiva. Agli agenti hanno confessato i fatti di cui sono accusati, precisando però che per loro non esisteva alcuna matrice politica: si sarebbe trattato, quantomeno secondo la loro versione, di gesti goliardici, portati avanti per sconfiggere la noia.