Oltre 30 anni di indagini, errori, zone d’ombra. Quelle 29 coltellate a Simonetta Cesaroni, chi le ha inflitte? Il delitto di via Carlo Poma n.2, avvenuto a Roma il 7 agosto del 1990 è ancora senza un responsabile. La famiglia è ancora in attesa di giustizia con un dolore che sembra non avere mai fine. Molte le ipotesi, alcune delle più fantasiose: servizi segreti, coinvolgimenti del Vaticano, il servizio di Videotel, il portiere indagato, il fidanzato, la Banda della Magliana, l’arma del delitto mai trovata. Simonetta, 21 anni, trucidata senza pietà.
Nel corso degli anni, tra il 1990 e il 2011, diverse persone vennero accusate del delitto. In principio fu Pietrino Vanacore, il portiere dello stabile luogo dell’omicidio, poi Salvatore Volponi, il datore di lavoro di Simonetta, poi Federico Valle, suo padre aveva uno studio nell’edificio, e infine Raniero Busco, il fidanzato della Cesaroni; vennero tutti scagionati.
Simonetta era una ragazza di 21 anni, viveva a Roma, a Cinecittà. A gennaio del 1990 iniziò a lavorare come segretaria presso la Reli Sas, uno studio commerciale. Doveva svolgere lavoro di contabile per alcuni giorni della settimana presso gli uffici di un cliente appunto di via Poma 2. Simonetta era molto riservata, nessuno – tranne la madre – sapeva, delle telefonate anonime che riceveva in studio.
Quel pomeriggio
Simonetta, il pomeriggio del 7 agosto 1990, si recò presso la sede dell’A.I.A.G. in via Poma poiché doveva occuparsi di alcune pratiche. La attendeva Volponi con una telefonata alle 18.20 per avere informazioni riguardo lo svolgimento del lavoro. Una telefonata che l’uomo non ricevette mai. L’ultimo indizio di Simonetta viva, risale ad una telefonate delle 17.15 quando chiamò per lavoro Luigia Berrettini. Fu la famiglia a cercarla, quando non la vide rientrare alle 21.30, accompagnati da Volponi, dalla sorella Paola e dal fidanzato, raggiunsero gli uffici di via Poma e dopo essersi fatti aprire dalla moglie del portiere trovarono il corpo martoriato di Simonetta, uccisa con 29 coltellate.
Le indagini
Secondo quanto venne ricostruito dagli investigatori, Simonetta negli uffici venne inseguita da un uomo che la bloccò nella stanza opposta a dove lavorava, immobilizzata a terra: questo individuo si posizionò sopra di lei in ginocchio schiacciandole i fianchi, tanto forte da lasciarle degli ematomi, e la colpì con forza, provocandole un trauma cranico che la fece svenire. A quel punto con un tagliacarte l’assassino colpì Simonetta 29 volte: sei colpi al viso, nell’occhio destro e poi nel sinistro. Otto su tutto il corpo, sul seno e sul ventre. Quattordici dal basso ventre al pube, ai lati dei genitali.
Sul luogo del delitto vennero anche portati via degli abiti di Simonetta, dei fuseaux blu, la giacca e gli slip, con questi anche diversi effetti personali, tra cui gli orecchini, un anello, un bracciale e un girocollo che non verranno mai ritrovati. L’orologio invece le venne lasciato al polso. Vennero portate via anche le chiavi dell’ufficio che aveva in borsa. Simonetta venne abbandonata nuda, con indosso il reggiseno, abbassato e il seno scoperto. Un top sopra il corpo a coprire le lacerazioni più gravi, quelle mortali. Indossava i calzini, le scarpe vennero posizionate vicino alla porta.
La scena del crimine
La sera del 7 agosto venne effettuato il primo sopralluogo nell’appartamento da parte del vicequestore Sergio Costa, in servizio al SISDE. Oltre ai segni di arma da taglio, sul corpo di Simonetta vi era anche il segno di un morso sul collo. Non vi era disordine nelle stanze, sulla maniglia della porta della camera dove si era consumato il delitto, c’era del sangue. Al suo interno venne trovato anche un foglietto con scritto “CE” e disegnato un pupazzetto a margherita, e la scritta “DEAD OK”. Venne chiarito solo nel 2008, durante la trasmissione ‘Chi l’ha visto’ che era stato disegnato e dimenticato da un poliziotto intervenuto sulla scena del crimine. La morte di Simonetta, secondo quanto chiarito dall’autopsia, avvenne tra le 18 e le 18.30.
Per risolvere il crimine, la polizia decise di perlustrare lo stabile e la mattina dell’8 agosto iniziò ad interrogare tutti gli occupanti dell’edificio. La famiglia dei quattro portieri sostenne di essere stata tutto il pomeriggio del delitto intorno alla vasca ubicata nel cortile, dalle 16.00 alle 20.00 e che quindi l’assassino non poteva essere passato dalla scala B senza essere notato.
Gli investigatori esplorarono ogni angolo dell’edificio in cerca degli abiti di Simonetta o di qualsiasi indizio, ma non trovarono nulla. Secondo quanto ricostruito dalle prime indagini, durante le sue ultime ore di vita, Simonetta era sola il pomeriggio del delitto. La sorella Paola la lasciò alla metropolitana e Simonetta si recò regolarmente in ufficio. Nessuno venne visto entrare nella scala B.
L’analisi degli psicologi
Con gli anni, oltre alle indagini sulla scena del crimine, e le analisi della polizia scientifica, anche gli psicologi hanno provato a ricostruire i fatti. L’assassino, presumibilmente avrebbe tentato di violentare Simonetta ma non sarebbe riuscito ad avere un’erezione e la frustrazione lo avrebbe condotto al terribile crimine. Poi, dopo l’ondata di furia omicida, resosi conto di quanto fatto, avrebbe tentato di pulire la scena del crimine ma qualcosa o qualcuno l’avrebbe interrotto.
Pietrino Vanacore
Secondo quanto ricostruito, Pietrino Vanacore non era con gli altri portieri nel cortile nell’orario del delitto. Inoltre, venne rinvenuto uno scontrino del ferramenta, dove Vanacore comprò un frullino alle 17.25. Secondo le testimonianze, Vanacore alle 22.30 aveva appuntamento a casa dell’anziano architetto Cesare Valle, poco distante dall’ufficio luogo dell’omicidio. Valle dichiarò che il portiere arrivò da lui alle 23.00. Questa mezz’ora mise nei guai il portiere. Gli investigatori trovarono inoltre in un paio di suoi pantaloni delle macchie di sangue. Vanacore risultava assente dallo stabile tra le 17.30 e le 18.30, l’ora dell’omicidio e per gli inquirenti questa era la soluzione del caso. Venne così fermato dalla polizia il 10 agosto e passò 26 giorni in carcere. Il suo avvocato intervenne poi per farlo uscire.
A seguito di ulteriori indagini, emerse che le macchie di sangue nei pantaloni appartenevano allo stesso Vanacore, che soffriva di emorroidi. Venne inoltre portata avanti la tesi che, chiunque avesse commesso l’atroce delitto, doveva essersi per forza sporcato gli abiti del sangue di Simonetta e Vanacore aveva indossato gli stessi abiti per tre giorni e su questi non vi era alcuna traccia del sangue della ragazza. Gli accertamenti eseguiti successivamente sul DNA scagionarono definitivamente Vanacore.
Il suicidio di Vanacore
L’uomo venne nuovamente tirato in ballo nel periodo delle indagini su Raniero Busco, poiché gli inquirenti pensavano che qualcuno potesse essersi introdotto nell’appartamento dopo il delitto e aver inquinato le prove e i magistrati aprirono quindi un fascicolo sul portiere e disposero una perquisizione il 20 ottobre 2008, che non portò a nulla di fatto. Vanacore si suicidò il 9 marzo 2010, gettandosi in mare vicino a Torricella. Lasciò una scritta su un cartello: “20 anni di sofferenze e di sospetti ti portano al suicidio”, l’uomo il 12 marzo 2010 avrebbe dovuto deporre all’udienza del processo per l’omicidio a carico di Raniero Busco.
Raniero Busco
Nel febbraio del 2005 venne prelevato il DNA di 30 persone sospettate del delitto tra cui anche Raniero Busco, il fidanzato di Simonetta ai tempi del delitto. Il DNA venne messo poi a confronto con quanto raccolto dal reggiseno della ragazza. Un anno dopo vennero sottoposti ad analisi anche l’orologio, l’agenda, i calzini, il fermacapelli, il corpetto e la borsa di Simonetta. Oltre a questi oggetti anche il tavolo della stanza dell’omicidio e il quadro e un vetro dell’ascensore trovato sporco di sangue. Sul corpetto e sul reggiseno della Cesaroni verrà trovato un risultato utile: DNA maschile, rinvenuto su entrambi in tracce forse di saliva, non fu possibile stabilire esattamente il tipo di liquido biologico. 29 dei 30 sospettati vennero scartati dalla prova del DNA a gennaio 2007 poiché le tracce di saliva trovate sul corpetto e sul reggiseno, corrispondevano solo al DNA di Raniero Busco. Un DNA che per sicurezza venne prelevato due volte, e analizzato e confrontato due volte. Il DNA dell’uomo risultò corrispondente per sei volte su entrambi gli indumenti e l’uomo venne ufficialmente indiziato per l’omicidio di Simonetta e iscritto nel registro degli indagati con l’ipotesi di omicidio volontario. Paola la sorella di Simonetta, dichiarò nella primavera del 2008 ai Pubblici Ministeri Roberto Cavallone e Ilaria Calò, che Simonetta indossava indumenti puliti il giorno in cui venne assassinata. La polizia scientifica sottopose ad analisi una traccia di sangue rinvenuta sul luogo del delitto: la traccia conteneva il sangue di Simonetta, mischiato con un soggetto maschile, l’assassino. Nella traccia che venne analizzata vennero isolati 8 alleli che coincidevano con il DNA di Busco Gli 8 alleli vennero confrontati anche con i DNA degli altri 29 sospettati che risultarono incompatibili con tutti gli altri 29 DNA. Nel processo di primo grado concluso nel 2011, Busco venne condannato a 24 anni, in quello d’appello concluso nel 2012 venne assolto e la sentenza confermata dalla cassazione nel 2014.
L’assoluzione di Busco
In merito all’assoluzione di Busco, “non vengono taciuti i punti oscuri della vicenda”. In particolare, per quel che riguarda le tracce di Dna e il morso di Busco, la Cassazione ha scritto che “si dimostra la insostenibilità della sua attribuzione a Busco e dell’origine salivare del Dna presente sui capi di vestiario repertati”. Questa incertezza, ha aggiunto la Cassazione, non può “essere colmata in modo diverso: la Corte territoriale dimostra, infatti, che la ricostruzione adottata nella sentenza di primo grado è suggestiva, ma ampiamente congetturale in ordine a vari aspetti, come l’effettuazione della telefonata da Simonetta Cesaroni a Busco all’ora di pranzo di quel giorno, il contenuto di tale telefonata, la conoscenza da parte di Busco del luogo dove la Cesaroni lavorava, la spontaneità della svestizione da parte della vittima, l’autore dell’opera di ripulitura della stanza, le modalità e i tempi di tale condotta, movente dell’omicidio, la falsità dell’alibi da parte dell’imputato”. La Corte d’Assise d’Appello lo ha assolto per non aver commesso il fatto.
Le altre piste
Il 30 gennaio 1995, a seguito del proscioglimento definito di Vanacore, una lettera anonima spinse la procura ad indagare in merito al servizio di Videotel, una conversazione alla quale si poteva accedere dal computer, utilizzata agli inizi degli anni novanta. Un servizio simile all’odierno internet. Secondo la pista Simonetta aveva fatto uso di questo servizio e preso appuntamento con il suo assassino. Qualcuno, affermò di aver riconosciuto Simonetta in una interlocutrice di Videotel che si firmava Veronica e secondo un’altra testimonianza vi era un altro utente che si firmava Dead – come il bigliettino rinvenuto sulla scena del crimine – che, entrato in rete dopo il 7 agosto affermò di averla uccisa a tutti gli utenti. Una pista poi abbandonata una volta scoperto che il lavoro di Simonetta era solo di videoscrittura e che non vi era quindi la possibilità di accedere ai servizi di Videotel.
Diverse le ipotesi fatte sull’omicidio di via Poma, un’altra parla di fatti misteriosi collegati alla sede A.I.A.G. di via Poma, notizie sul fatto che l’ufficio sarebbe stato luogo di copertura per alcune attività dei servizi segreti italiani. Un’altra ipotesi invece sarebbe legata ad operazioni illecite compiute da alcuni soggetti appartenenti ai servizi segreti, che Simonetta fosse incaricata di stipulare contratti per conto di alcune società al di fuori della sua normale professione.
La banda della Magliana
Anche la banda della Magliana è tra le piste seguite per l’omicidio di Simonetta, che secondo questa ipotesi avrebbe scoperto negli archivi della A.I.A.G. dei documenti segretissimi che testimoniavano dei presunti favori fatti dalla stessa A.I.A.G. e altri enti edili a favore della Banda della Magliana con il benestare del Vaticano, una pista poi abbandonata poiché dalle indagini non emerse nulla di concreto in questa direzione.
LEGGI ANCHE > Ucciso lo chef di 4 Ristoranti, il corpo trovato con ferite da accetta
La famiglia non si arrende
“Resta il dolore e restano tanti dubbi: il pm dia segnali”, sono le parole del legale Federica Mondani, che ha così sollecitato i magistrati ad un “segnale che in questi ultimi anni non è mai arrivato”. L’assassinio di via Poma “rappresenta una sconfitta per tutto il sistema giudiziario italiano, una sconfitta per lo Stato”. A suo parere “bastava qualche approfondimento in più ma ciò non è stato fatto”. Mondani cita alcuni misteri legati all’ omicidio: il morso trovato sul corpo di Simonetta, per cui la famiglia ha sempre chiesto una nuova perizia. L’ex fidanzato Busco, non vuole più sentir parlare della vicenda e “Vuole essere dimenticato”, ha dichiarato il suo difensore Paolo Loria. Per lui “via Poma è lunga storia fatta di errori, omissioni, depistaggi. Oggi, a distanza di 30 anni, chi ha il coraggio di avviare nuovi accertamenti dopo ben sette fallimenti?”.