Sono giorni di concitazione all’interno del governo, dove si avvicina sempre più il momento di porre un punto finale alla legge di Bilancio: più il tempo scorre, più aumentano le pressioni sul governo Draghi per strattonare la manovra in una direzione o nell’altra. Quota 100, reddito di cittadinanza, cuneo fiscale, sono tutti temi che l’esecutivo dovrà affrontare prestando un occhio alla tenuta della maggioranza. Ma al momento tutti rassicurano: si va avanti con Mario Draghi fino al 2023.
In Italia la politica cambia molto rapidamente, a volte in maniera imprevedibile, ma esistono delle costanti che si ripetono sempre uguali a se stesse: quando il governo entra sotto stress – e il governo Draghi non fa eccezione – aumentano le dichiarazioni di fedeltà da parte dei partiti di maggioranza. Lo stesso accade ora che il varo della legge di Bilancio si avvicina, e si cerca, un po’ ovunque, di strattonare la manovra in una direzione o nell’altra, anche per fini elettorali. Le prossime ore saranno importantissime per verificare chi riuscirà a salvare cosa. Entro giovedì, infatti, il Consiglio dei ministri dovrà approvare il testo della manovra da 23,4 miliardi. La deadline è piuttosto improrogabile, visti gli altri impegni che occuperanno il governo nei giorni a finire, compreso il vertice dei capi di Stato e di governo dei Paesi G20. All’interno della maggioranza si preparano allora le barricate, a partire da Quota 100, la misura voluta dalla Lega nel 2018 che consente di andare in pensione con 62 anni di età e 38 di contributi. A tal proposito, il premier ha già fatto sapere: Quota 100 non sarà rinnovata, al massimo sarà superata con gradualità. Per questo si inizia a parlare di Quota 102 (64 anni di età e 38 di contributi) e Quota 104 nel 2023 (66 anni di età e 38 di contributi).
Ma la tensione non finisce qui, i temi sono tanti. Il M5s ha gli occhi puntati sul reddito di cittadinanza e sul cashback: il primo, ha già annunciato Draghi, sarà rivisto per porre criteri più stringenti (come un taglio dell’importo dopo il primo o il secondo rifiuto a una proposta di lavoro); il cashback con ogni probabilità sarà rivisto, ma il M5s potrebbe accettarne il superamento in cambio di importanti rassicurazioni sul reddito di cittadinanza. C’è poi il bonus facciate, fortemente voluto dal ministro della Cultura del Pd Franceschini che, stando ai retroscena, qualche giorno fa sarebbe arrivato ai ferri corti con il premier. A pesare saranno anche le decisioni sul taglio delle tasse, un capitolo che occuperà circa 8 miliardi della manovra: Forza Italia, Lega e Iv puntano a un taglio dell’Irap (puntando a un maggiore beneficio per le imprese), ma Draghi e il ministro dell’economia Franco starebbero pensando a un taglio del cuneo fiscale (puntando a un maggiore beneficio per il lavoratore). Insomma, su questo e su molto altro la tensione in maggioranza rischia di salire, per questo premier e partiti iniziano a lanciare i dovuti anatemi: Mario Draghi ribadisce che il dialogo aperto ma le finestre di modifica sono strette, e non c’è tempo da perdere; i partiti ribadiscono la loro fedeltà all’esecutivo, cercando di blindarlo fino al 2023. A partire da un fedelissimo di Draghi, Silvio Berlusconi.
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Il leader di Forza Italia ha già avvertito in un’intervista al Corriere della Sera che sarebbe “davvero irresponsabile“, interrompere l’esperienza del governo Draghi, perché “questo governo sta portando l’Italia fuori dall’emergenza sanitaria ed economica“, ha sottolineato Berlusconi rispondendo alla domanda sull’ipotesi Draghi al Quirinale. “È un lavoro difficile che sta procedendo con buoni risultati grazie al senso di responsabilità di tutte le forze politiche, sarebbe davvero irresponsabile pensare di interromperlo prima del tempo per bloccare il Paese in una campagna elettorale“. Per lo stesso motivo, secondo il leader di Forza Italia, “parlare ora di legge elettorale significa far circolare veleni, mentre l’Italia si aspetta che la politica si occupi di tutt’altro, di vaccini, di Pnrr, di tasse, di pensioni, del benessere e della sicurezza degli italiani“. In ogni caso, ha precisato Berlusconi, “di Quirinale non intendo parlare né occuparmi fino a quando un presidente come Sergio Mattarella sarà nel pieno delle sue funzioni“. Poi a proposito del volto che assumerà la coalizione di centrodestra: “Da qui alle elezioni, che non sono imminenti, si troverà la soluzione migliore“.
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E a proposito di coalizione di centrodestra, a blindare il premier sembra essere anche la Lega, ma attraverso le parole del ministro dello Sviluppo Economico Giancarlo Giorgetti. Rispondendo alle domande dei giornalisti riuniti nell’auditorium dell’ambasciata d’Italia a Washington, Giorgetti ripete candidamente: “Con lui è più facile fare il ministro“. E con lui è più facile anche affacciarsi sullo scenario internazionale, ribadisce il ministro, che dice di aver “notato un sentimento di credibilità, c’è questo sentimento di simpatia, di fiducia legata soprattutto alla presenza di Draghi, il cui standing internazionale aiuta“. Insomma, che sia a Palazzo Chigi o al Quirinale “il nome di Draghi rappresenta una garanzia“, conferma Giorgetti, che però fa capire di preferirlo come premier fino al 2023. Certo, non si possono negare i contraccolpi elettorali, ma erano stati già previsti e accettati: “La Lega ha fatto una scelta di responsabilità, quando ha deciso di stare nel governo. Poi ognuno legittimamente porta avanti le sue istanze, ma alla fine si troverà una mediazione. Sapevamo di perdere in termini di consenso con questa scelta, ma la politica si fa pensando al medio e lungo termine, e parlo della politica con la ‘p’ maiuscola“.
Le parole di Giorgetti, stando a quanto riportato da La Stampa, non cadrebbero dal cielo, né dalla semplice stima nei confronti di Draghi: sul quotidiano torinese viene reso noto che la moral suasion per blindare Draghi sia arrivata anche da Joe Biden e dai consiglieri economici della Casa Bianca, che avrebbero spiegato al ministro di esser pronti a dare una mano all’Italia, ma a patto che il Paese sia affidabile. E il Paese lo è con Mario Draghi a Palazzo Chigi. Tutti con Mario Draghi, quindi?
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Sulla questione il leader del M5s Giuseppe Conte assicura il supporto del Movimento, ma con molte clausole. A proposito di Quota 100 e reddito, ribadisce al Corriere: “Ho sentito Draghi, il reddito verrà rifinanziato e modificato in base alle nostre proposte. Noi siamo leali al governo, ma non abbiamo firmato assegni in bianco. Non staremo ‘zitti e buoni’ se si tratta di difendere i nostri valori. Partiti e movimenti sono l’anima della democrazia, non un fastidioso rumore di fondo”. Poi la domanda: “E’ insofferente al metodo Draghi?“. Conte risponde: “Pretendiamo il rispetto degli impegni“. A proposito del cashback, sospeso da Draghi con l’impegno di riprenderlo a gennaio, Conte ribadisce che “il cashback può essere rivisto, ma è importante per la digitalizzazione dei pagamenti e il contrasto all’evasione. Le nostre non sono bandierine, prova ne sia la proroga del superbonus che vale 12 miliardi di Pil all’anno. Quanto a Quota 100, non ha retto l’analisi costi/benefici sulle casse pubbliche, per cui la soluzione migliore è puntare a meccanismi di pensionamento anticipato graduati sulla diversa gravosità del lavoro”.
Insomma, sui temi Conte fa la voce grossa, mentre sui nomi evita di rispondere. Incalzato sull’ipotesi di un Draghi premier fino al 2023 e oltre, l’ex premier schiva la domanda ma lascia intendere – ancora una volta – un sostegno non incondizionato: “Questo è un governo di unità nazionale, pensare adesso di proiettarne l’azione oltre il 2023 è un azzardo. A tempo debito avremo le elezioni e mi auguro portino un solido governo politico costruito sulla maggioranza indicata dagli italiani, come avviene in tutte le democrazie occidentali”. Bisognerà allora capire quando scadranno le condizioni del sostegno.
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