I parenti degli anziani morti nei mesi della prima ondata Covid nel 2020: «Siamo amareggiati, domanda di giustizia elusa»
La Procura di Milano ha chiesto di archiviare l’indagine sugli anziani deceduti al Pio Albergo Trivulzio, nella prima ondata di Coronavirus del 2020. «La decisione della Procura di Milano», commenta Alessandro Azzoni, presidente Associazione Felicita che assiste i parenti dei suddetti defunti, «ci trova totalmente amareggiati ma non sorpresi». La richiesta “di verità e giustizia“, a detta dell’associazione è stata «elusa dalla procura (e non solo)». La Procura ha chiesto di archiviare anche altri procedimenti simili relativi a decessi nelle Rsa di Milano.
«Sin da subito, con fiducia», prosegue Azzoni, «l’associazione Felicita per i diritti nelle RSA, già Comitato Giustizia e Verità per le vittime del Trivulzio, quale parte diligente e attiva si è messa a disposizione degli inquirenti, raccogliendo le testimonianze di numerosi familiari dei degenti della struttura e degli operatori sanitari».
Nel frattempo, nel corso dei 18 mesi dell’inchiesta, «che hanno visto il lungo e impegnativo lavoro degli inquirenti, della Guardia di Finanza e dei periti, ma non hanno mai dato spazio all’ascolto di nessuno dei 150 firmatari dell’esposto collettivo presentato dall’Associazione Felicita, abbiamo assistito alla diffusa rimozione della tragedia nell’intento di cancellare il conflitto tra gli interessi dei cittadini direttamente colpiti e i diversi interessi delle parti economiche, politiche e istituzionali a vario titolo coinvolte nella catena di responsabilità, e per questo convergenti nell’ignorare la verità attraverso una comune narrazione auto-assolutoria».
«Una narrazione», prosegue l’associazione in una nota, «volta a giustificare e a rendere accettabile un’immunità giudiziaria generale (tutti colpevoli, nessun colpevole) e a sottrarre al diritto penale il giudizio sui fatti in nome del carattere straordinario, incontrollabile e imprevedibile del fenomeno pandemico. Il diritto alla particolare protezione degli anziani in quanto popolazione fragile, garantito dalla Costituzione, comporta l’obbligo/dovere del sistema sanitario e assistenziale ad approntare strumenti adeguati alla complessità del compito».
Intanto i pm milanesi scrivono che non si è «acquisita alcuna evidenza di condotte colpose o comunque irregolari, causalmente rilevanti nei singoli decessi, in ordine all’assistenza prestata». Nel testo della richiesta di archiviazioni si legge che, «con riguardo ai singoli casi, neppure sono state accertate evidenze di carenze specifiche, diverse dalle criticità generali» in merito alle «misure protettive o di contenimento» del virus «che possono con verosimiglianza avere inciso sul contagio». In poche parole, i pm ritengono che manchi l’evidenza del “nesso causale” tra decessi e condotte nella rsa.
Nell’atto si legge ancora, come scrivono i pm milanesi, che è venuta fuori, tuttavia, «una certa sottovalutazione iniziale del rischio» dei contagi “da parte della dirigenza” della suddetta Rsa che “nel primo periodo di diffusione dell’epidemia” si mostrava «preoccupata soprattutto di evitare allarmismi».
Gli investigatori pur segnalando riscontri al fatto che la direzione del Pio Albergo Trivulzio si fosse «opposta, ancora nei primi giorni di marzo, all’utilizzo di mascherine come misura di protezione spontaneamente adottata dal personale di alcuni reparti», spiegano che all’epoca i requisiti di «tracciamento e contenimento» del Covid, di cui lo staff lamentava la tardiva attuazione, «non risultavano ancora adeguatamente introdotti, sviluppati e articolati dalle disposizioni delle autorità sanitarie nazionali e regionali».
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Tra l’altro, sempre secondo i pm, la loro «effettiva realizzazione si sarebbe scontrata con una drammatica insufficienza di mezzi», soprattutto tamponi e mascherine.
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Pur non potendo nascondere che «alcuni atteggiamenti iniziali del dg del Pat e dei suoi più stretti collaboratori» hanno mostrato un atteggiamento di “sottovalutazione” all’inizio del contagio, più volta a “occultare” che a “risolvere le difficoltà“, al contempo «non è stata acquisita alcuna prova» di comportamenti dolosi o colposi «che abbiano avuto conseguenze sulla diffusione del contagio». Stesso discorso valido anche per la questione della «proibizione in alcuni casi e per un certo periodo delle mascherine».