In Libano la tensione continua a salire dopo la manifestazione di qualche giorno fa Beirut, dove sono rimaste uccise sei persone in gravi scontri armati. La manifestazione era stata organizzata dai partiti sciiti Hezbollah e Amal in segno di protesta contro Tarek Bitar, il giudice incaricato di condurre le indagini sull’esplosione del 4 agosto 2020 nel porto della città. Sul Libano si riaffaccia lo spettro della civile: il punto della situazione.
E’ alta tensione in Libano, dove qualche giorno fa a Beirut ha avuto luogo una manifestazione in cui il Paese si è mostrato – nuovamente – in tutta la sua fragilità e divisione: durante l’iniziativa sono rimaste uccise sei persone a seguito di importanti scontri armati. Ma riavvolgiamo il nastro. Di che manifestazione parliamo? E a cosa sono legati gli scontri? Le proteste sono state organizzate dai partiti radicali sciiti Hezbollah e Amal. Nel mirino della dimostrazione di dissenso, Tarek Bitar, il giudice che gestisce le indagini sull’esplosione del 4 agosto 2020 nel porto di Beirut. Proprio il giudice negli ultimi mesi sta mettendo ulteriormente in crisi la politica libanese, o meglio, la componente corrotta della politica libanese. Le sue indagini, infatti, starebbero rivelando una profonda rete di corruzione e clientelismo all’interno della politica del Paese. Tutte criticità già note, ma attualmente sotto la lente di un potere giudiziario pronto a non scendere a compromessi e sotto gli occhi di una popolazione stanca, fiaccata da tassi di povertà insostenibili. Bitar, infatti, negli ultimi mesi avrebbe messo sotto accusa numerosi politici e funzionari, tra cui membri del governo ed esponenti dell’esercito, in qualche modo implicati nell’esplosione che causò la morte di più di 200 persone e il ferimento di 7mila libanesi.
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L’esplosione del 4 agosto 2020
L’incidente ebbe luogo a causa di un incendio in un deposito del porto: al suo interno erano stipate quasi 3mila tonnellate di nitrato di ammonio giunte nella capitale nel 2013, a bordo di una nave mercantile di proprietà russa. Già nell’agosto 2020 apparve inusuale la presenza di una tale quantità di materiale nel cuore della città. Le indagini presero il via per comprendere le cause e le responsabilità dell’incendio. In un primo momento l’indagine fu affidata al giudice Fadi Sawan, che mise sotto accusa tre ex ministri libanesi e il primo ministro del tempo, Hassan Diab. In poco tempo Sawan fu sostituito da Tarek Bitar che, tuttavia, non sembra intenzionato a insabbiare la vicenda. Le indagini proseguono, dunque, e si fanno sempre più dure nei confronti delle alte cariche della politica libanese.
Tuttavia, nonostante le buone intenzioni, la situazione in Libano si fa sempre più critica anche a causa dell’inchiesta: le indagini proseguono a stento, rallentate dalla scarsa collaborazione dei vertici interessati; Hezbollah ha iniziato una campagna contro il giudice, che intanto riscuote la speranza della popolazione in una qualche forma di giustizia. Il motivo è chiaro: la formazione sciita Hezbollah ottiene grandi benefici dalla situazione della politica libanese e teme che le indagini del giudice possano modificarne gli equilibri. Reduce dalla guerra civile degli anni ’70, Hezbollah non ha mai abbandonato il territorio libanese e torna all’attacco ora che la Mezzaluna Sciita sembra indebolirsi (con l’espressione si intende quel corridoio esteso da Teheran al Mar Mediterraneo passando per Baghdad, Deir Ezzor, Palmira, Damasco, Latakia). Anche per questo la formazione ha organizzato la manifestazione di qualche giorno fa, anche per questo il Libano rischia di diventare una vera polveriera. E come se non bastasse, la situazione è ben più complessa.
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Il Libano e il ruolo dell’Iran
A pesare, a creare divisioni e a far salire la tensione sarebbe anche l’influenza dell’Iran, alleato di Hezbollah: lo scorso 7 ottobre il ministro degli Esteri iraniano Hussein Amir- Abdollahian, si è recato in visita ufficiale a Beirut, assicurando al presidente libanese Michel Aoun che l’Iran sarà “sempre a fianco del Libano” per porre fine a un “assedio ingiusto” e per partecipare ai lavori di ricostruzione del porto. Nel corso dell’occasione ufficiale – e più nello specifico nel corso della conferenza stampa congiunta con il presidente del Parlamento, Nabih Berri – si è trovato più volte il modo di ribadire la necessità di rafforzare le relazioni bilaterali in “diversi modi“, oltre ad aver parlato del ruolo di Hezbollah e delle sue forze armate (percepite come un deterrente nei confronti di Israele). Stando a quanto riportato dal Globalist, l’incontro con il ministro iraniano ha avuto luogo in un clima già caldo, dopo la protesta del 6 ottobre organizzata a Beirut da forze politiche e organizzazioni contrarie a una presunta influenza dell’Iran nel Paese. Ancora una volta, dunque, il Libano diventa il crocevia di una serie di interessi che, tra l’altro, riguardano non solo l’Iran, ma anche Arabia Saudita, Qatar, Emirati Arabi, Siria, Turchia e Israele. Il risultato di questo groviglio di interessi di parte è evidente: ogni Paese cerca di finanziare-sostenere la porzione di Libano a cui è interessato, la guerra civile resta uno spettro ancora plausibile, alimentato dalla povertà.
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Una crisi senza precedenti
Tutto questo, infatti, si inserisce in un quadro di povertà dilagante, ben fotografato dal report Agi firmato da Giandomenico Serrao: “Per la spesa settimanale non basta il reddito mensile di una famiglia. Le banche non danno più denaro. Mancano i farmaci di base e le file alle stazioni di servizio possono durare ore. Ogni giorno, molte case non hanno elettricità. Questo è il Libano oggi, un Paese che sta subendo una catastrofe umanitaria causata da un tracollo finanziario. La Banca Mondiale l’ha definita una delle peggiori crisi finanziarie degli ultimi secoli”. Nell’ultimo World Economic Outlook del Fondo Monetario Internazionale mancano le proiezioni sul Libano per il 2021-2026: “Non sono disponibili a causa dell’alto livello di incertezza“, riporta il documento. Insomma, il Libano è un Paese ormai economicamente collassato: nel 2020 il Pil si è contratto del 20,3%. “Sembra davvero che il Paese si stia sciogliendo”, fa notare Ben Hubbard, giornalista del New York Times che ha trascorso gli ultimi dieci anni in Libano. Per questo dietro l’instabilità politica all’orizzonte riappare lo spettro di un’altra, disastrosa, guerra civile.