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Cronaca

Curia di Catania mette al bando “padrini” e “madrine” a battesimi e cresime

La decisione della Curia di Catania, e di altre diocesi della Sicilia, è al momento un esperimento, ed è stata ripresa dal New York Times. Tra le ragioni il fatto che il ruolo del padrino sia divenuto ormai “un metodo di rafforzare legami familiari e, a volte legami criminali”.

La decisione “sperimentale”, maturata nei mesi scorsi con un decreto dell’arcivescovo metropolitano Salvatore Gristina, è entrata in vigore nel fine settimana del 16-17 ottobre 2021. La prova durerà tre anni, ed è già diventata un caso internazionale, grazie a un articolo del «New York Times». Le ragioni addotte dall’arcivescovo di Catania riguardano il fatto che si sarebbe persa in gran parte l’originale dimensione religiosa della funzione di padrini e madrine. Questi ruoli sarebbero divenuti «spesso una sorta di adempimento formale o di consuetudine sociale, in cui rimane ben poco visibile la dimensione della fede».

«La secolare tradizione della Chiesa vuole che padrino o madrina accompagnino il battezzando o il cresimando perché gli siano di aiuto nel cammino di fede. Ad esigere la presenza dei padrini non è la celebrazione in quanto tale, ma la crescita nella fede del battezzando o del cresimando. Per tale ragione essi dovranno essere credenti solidi, capaci e pronti a sostenere nel cammino della vita cristiana. Il loro compito è una vera funzione ecclesiale.

Si consideri però che nell’odierno contesto socio-ecclesiale la presenza dei padrini e delle madrine risulta spesso una sorta di adempimento formale o di consuetudine sociale. In ciò rimane ben poco visibile la dimensione della fede». Tutto questo senza contare che «la situazione familiare complessa e irregolare di tante persone proposte per assolvere questo compito rende la questione ancora più delicata». In questo caso ci si potrebbe riferire, ad esempio, all’impossibilità di una persona divorziata di diventare padrino o madrina.

La decisione della Curia di Catania e le riflessioni di politica criminale

La questione ha dunque una dimensione religiosa ma anche socio-culturale per la Curia di Catania, e tocca anche temi delicati. Appare evidente, infatti, che fra i messaggi forti dell’iniziativa della Chiesa ci sia anche quella di evitare la strumentalizzazione da parte di contesti mafiosi. «Esponenti della Chiesa spiegano che la figura del padrino è divenuta un’occasione di creazione di legami per famiglie che cercano di migliorare le proprie condizioni. O anche di legarsi a potentati locali che hanno decine di padrini», un «metodo di rafforzare legami familiari e, a volte legami criminali».

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La Chiesa siciliana, negli ultimi decenni, e in particolare dopo il monito di Giovanni Paolo II ad Agrigento, ha attuato iniziative severe contro la mafia. Ricordiamo, ad esempio, quella attutata dal vescovo di Acireale e vicepresidente nazionale della Cei, Antonino Raspanti. Il vescovo, appena insediato, vietò le celebrazioni dei funerali per i boss mafiosi che in vita non hanno mostrato alcun pentimento. Il fatto che il recente esperimento venga avviato in una delle Diocesi più importanti e popolose del Sud d’Italia ha chiaramente un suo valore. Potrebbe anche fungere da apripista ad una volontà in questa direzione che è maturata nella Chiesa siciliana. Già altre Diocesi, come quella di Mazara del Vallo, hanno annunciato decisioni simili (a Mazara il divieto a padrini e madrine partirà dal prossimo gennaio).

L’articolo del New York Times ed il precedente calabrese

Nell’articolo del «New York Times» viene anche citato il precedente della Calabria. Il vescovo calabrese Giuseppe Fiorini Morosini, nel 2014, quando era vescovo di Reggio Calabria, chiese al Vaticano una misura simile. Per contrastare i legami della ‘ndrangheta voleva sospendere la presenza di padrini ai sacramenti. L’allora Sostituto della Segreteria di Stato, il card. Angelo Becciu, rispose — secondo quanto riporta Morosini — che dovevano prima essere d’accordo tutti i vescovi della Calabria. E quindi in quel momento non fu possibile prendere una decisione in tal senso. In Sicilia, invece, sono sempre di più le voci ecclesiastiche che condividono la posizione di monsignor Gristina, che è il presidente della Conferenza episcopale siciliana.

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