Domani si apre il processo a carico dei quattro 007 egiziani accusati del sequestro e dell’omicidio di Giulio Regeni, il ricercatore italiano morto in Egitto nel febbraio 2016. Dalla presidenza del Consiglio, intanto, arriva la conferma della volontà di costituirsi parte civile. Davanti alla terza Corte d’Assise il primo nodo da affrontare sarà l’assenza in aula degli imputati (il generale Sabir Tariq, i colonnelli Usham Helmi, Athar Kamel Mohamed Ibrahim, e Magdi Ibrahim Abdelal Sharif).
Inizia domani il processo a carico dei quattro 007 egiziani accusati del sequestro di Giulio Regeni, il ricercatore italiano morto in Egitto nel febbraio 2016. Il processo rischia di avere un’eco molto ampia, visto l’insieme di fattori, anche recenti, che renderà materia scottante quanto avverrà in aula. A pesare, alla prima udienza davanti alla terza Corte d’Assise, sarà innanzitutto l’assenza in aula degli imputati, il generale Sabir Tariq, i colonnelli Usham Helmi, Athar Kamel Mohamed Ibrahim, e Magdi Ibrahim Abdelal Sharif. In questa prima fase sarà quindi necessario esaminare questioni preliminari come le motivazioni dietro l’assenza degli agenti. Nei loro confronti è stato costruito un “compendio investigativo” formato da testimonianze, documenti e altre prove che devono essere verificate in un dibattimento. Le motivazioni del rapimento di Regeni si spiegherebbero, stando a quanto emerso dagli atti fino ad ora, con la volontà di “intimidire ed esercitare pressioni sulla vittima” per estorcere una serie di informazioni. I quattro agenti ora sono chiamati in un’aula nella quale, tuttavia, con ogni probabilità le loro sedie resteranno vuote.
Se verrà valutato che la sottrazione è stata volontaria il processo proseguirà, anche con gli imputati in contumacia. Stando a quanto emerso fino ad ora, l’assenza degli imputati sarebbe legata a una mancata collaborazione da parte del governo egiziano, che non ha neanche voluto comunicare gli indirizzi per poter notificare gli atti agli imputati. A rendere ancor più ampia l’eco mediatica sul processo, inoltre, sarà un’ulteriore evoluzione: il governo italiano ha già confermato la propria volontà di costituirsi parte civile contro contro gli 007 egiziani. La richiesta potrebbe esser depositata già nella giornata di domani nell’aula bunker di Rebibbia.
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Quattro presidenti del Consiglio italiani chiamati a testimoniare
La famiglia di Giulio Regeni sarà presente in aula, assistita dall’avvocata Alessandra Ballerini. I genitori di Regeni, Paola e Claudio, avrebbero già esplicitato la loro intenzione di chiamare a testimoniare i presidenti del Consiglio che si sono succeduti dal 2016 fino ad oggi (Matteo Renzi, Paolo Gentiloni, Giuseppe Conte e Mario Draghi). A questi, si aggiungeranno i rispettivi ministri degli Esteri e i sottosegretari con delega ai servizi dell’intelligence. Stando a quanto riportato dal Corriere, la famiglia Regeni avrebbe anche intenzione di chiamare a deporre i vertici del governo egiziano, incluso Al Sisi e i suoi ministri degli Interni. Sarà necessario capire, tuttavia, quanto questa chiamata in aula otterrà riscontro da parte dei vertici del Cairo, da tempo ostili a un qualsiasi tipo di collaborazione con l’Italia. Per intenderci, gli stessi 007 non saranno presenti in aula, difficilmente si presenteranno importanti esponenti di governo. La procura, intanto, avrebbe chiesto di interrogare i testimoni (che hanno riferito di aver visto il ricercatore italiano nei nove giorni di prigionia) e l’ambulante, suo vicino di casa, che lo avrebbe venduto agli egiziani, Mohammed Abdallah. Anche in questo caso, la presenza dei testimoni non è scontata.
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Cosa accadde il 25 maggio scorso
La speranza, tuttavia, resta viva, dal 25 maggio scorso, quando il giudice per le udienze preliminari Pier Luigi Balestrieri diede il via a un processo complesso, definendo “consistente e strutturato” l’insieme degli indizi raccolti dal pm e dal procuratore capo. “Paola e Claudio dicono spesso che su Giulio sono stati violati tutti i diritti umani. Da oggi abbiamo la fondata speranza che almeno il diritto alla verità non verrà violato. Ci abbiamo messo 64 mesi, ma quello di oggi è un buon traguardo e un buon punto di partenza” aveva dichiarato in quell’occasione l’avvocata Ballerini. In quello stesso giorno il gup respinse tutte le eccezioni sollevate dalle difese. D’altronde, gli stessi egiziani comunicarono l’identità dei quattro militari ora chiamati in aula. Per questo, e per una serie di altre motivazioni, il rinvio a giudizio espresso in quell’occasione viene tutt’oggi ritenuto sostanzialmente e formalmente legittimo. Con il processo di domani si aggiungerà dunque un altro tassello a un percorso iniziato dopo il ritrovamento del corpo di Giulio Regeni, il 3 febbraio 2016, lungo la strada che collega il Cairo ad Alessandria.
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L’indagine, affidata al pm Sergio Colaiocco, ha subito una prima svolta importante due anni dopo, il 4 dicembre 2018: in quel giorno la procura di Roma ha iscritto nel registro degli indagati cinque agenti egiziani con l’accusa di sequestro di persona. In quell’occasione e negli appuntamenti successivi, l’indagine portò alla luce le prime inquietanti testimonianze. “Ho visto Giulio ammanettato a terra con segni di tortura sul torace dove Giulio è stato ucciso. Al primo piano della struttura c’è la ‘stanza 13’ dove vengono portati gli stranieri sospettati di avere tramato contro la sicurezza nazionale. Il 28 o 29 gennaio ho visto Regeni in quella stanza con ufficiali e agenti”, aveva riferito un testimone che per 15 anni ha lavorato nella sede della National Security, stando a quanto ricorda il Fatto Quotidiano. Ora il processo andrà avanti. La speranza è sempre quella: scoprire cosa è successo in quelle stanze, chi c’era, perché e con quali motivazioni.