Fratelli d’Italia non ha mai risolto i suoi problemi con il fascismo

L’inchiesta di Fanpage non è la prima che ci mostra i legami con alcuni ambienti neofascisti dentro le fila del partito guidato da Giorgia Meloni

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Tutto sommato, l’inchiesta di Fanpage, che ha scoperchiato il vaso di Pandora attorno all’esponente di FdI ed Europarlamentare Carlo Fidanza e al suo circolo oscuro fatto di finanziamenti in black e adoratori di Hitler, ci ha semplicemente ricordato quanto Fratelli d’Italia fatichi ancora adesso a prendere le distanze da certi legami con alcune correnti neo-fasciste.

Giorgia Meloni, che ha in seguito sospeso Fidanza spiegando che nel suo partito non c’è spazio per certe nostalgie, ha (giustamente) chiesto alla redazione di Fanpage di poter visionare per intero il girato dell’inchiesta prima di prendere una decisione. Eppure, sono troppi negli anni gli episodi che hanno finito con il rimarcare quanto il connubio tra quella estrema destra e il partito guidato dalla Meloni, sia in realtà molto forte ed esista tutt’ora. E se Fanpage ha dovuto far infiltrare per anni un giornalista dentro quella che abbiamo imparato a conoscere come “La lobby nera”, per portarci le prove di quanto accade nel dietro le quinte del partito, in passato in realtà nemmeno è servito sfruttare l’indubbio talento dei giornalisti d’assalto. 

La memoria ad esempio, non può che ritornare al 2019, quando La Stampa pubblicò un articolo raccogliendo la denuncia di un utente che aveva fatto un’inquietante scoperta: Fratelli d’Italia, nelle sue campagne social per promuoversi, cercava specificatamente persone che avessero una simpatia dimostrabile verso il fascismo. Marco, questo il nome dell’utente rimasto anonimo nell’intervista, spiegò ai giornalisti della Stampa che, nel tentativo di rimuovere le pubblicità su un FdI, per il quale non aveva simpatie politiche, si imbattè nella seguente dicitura:Il motivo per cui vedi questa inserzione è che Fratelli d’Italia desidera raggiungere le persone interessate a fascismo. I dati si basano su attività come “Mi piace” alle pagine o i clic sulle inserzioni”. Un vero e proprio scandalo, come dimostrò in seguito la contorta difesa di Facebook all’indomani dell’uscita del servizio, spiegando che si trattava di “un’opzione di targetizzazione inserita tra le categorie disponibili per la sua rilevanza storica”. Nonostante questa giustificazione però, l’azienda di Zuckerberg decise comunque di rimuovere “a scopo precauzionale” l’opzione in questione.

Il problema semmai è che in un paese normale, dove si processa Casapound a Bari per tentata ricostituzione del partito fascista, che una formazione politica liberal-democratica cerchi seguaci di Mussolini tra i suoi elettori è un fatto grave, che avrebbe dovuto portare alle dimissioni immediate del suo leader. 

Non è così e in fondo nessuno lo ha mai chiesto alla Meloni. È anche questo il motivo per Fratelli d’Italia non sembra al momento aver risentito dello scandalo di Fanpage.  

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L’elettorato e l’opinione pubblica non sono mai stati particolarmente severi nel giudicare certi legami di Fratelli d’Italia, e questo ha permesso alla Meloni di poter sempre prendere le distanze dai singoli casi senza mai finire sotto accusa. Non che lei abbia qualcosa in comune con gli amici ben poco raccomandabili con cui si accompagnava Fidanza.

La sua biografia politica testimonia la passione di una nazionalista di destra e non di una neo-fascista pronta a ricostituire quel mondo e quell’organizzazione. Ma la responsabilità di ciò che accade nelle file del partito è sua: il prezzo da pagare per portare FdI alla conquista di palazzo Chigi. 

Paolo Berizzi, giornalista di Repubblica che per anni si è occupato di queste vicende, ha rilasciato ad Aprile un’intervista che, riletta adesso, ci permette di inquadrare molto meglio, o quantomeno con più consapevolezza, lo scandalo scoperchiato da Fanpage. 

Esiste un doppio livello di Fratelli d’Italia, c’è quello istituzionale di un partito che si propone come destra moderna, repubblicana, europea, non nostalgica e un altro che attraverso molti suoi esponenti, militanti, simpatizzanti, non rifiuta angolazioni fasciste, piuttosto vi strizza l’occhio. Guardiamo i fatti. FdI, e quindi la stessa presidente Giorgia Meloni, faticano a prendere le distanze dalla destra neofascista, quella che discrimina, odia, scende in piazza con i saluti romani e inneggia addirittura a ufficiali nazisti”

E le “strizzate d’occhio” a quegli ambienti  non sono nemmeno state così poche. Berizzi racconta ad esempio del caso del tributo riservato a “Leon Degrelle, omaggiato con un post dai militanti di Gioventù Nazionale a Verona, l’organizzazione giovanile di Fratelli d’Italia nata proprio per volontà di Meloni. Un tributo al capo di una divisione SS, condannato a morte in Belgio, rifugiatosi in Spagna e protetto per decine di anni dal regime franchista”. Un fatto di cui il giornalista di Repubblica si accorse subito e prontamente denunciò sul suo giornale con un editoriale ad hoc. Il post venne immediatamente cancellato così come la pagina da cui era stato condiviso. 

Senza che Giorgia Meloni abbia mai commentato in merito.

Non prese le distanze da certi fatti nemmeno dopo la cena commemorativa della Marcia su Roma:

“Una cena con tanto di menù dedicato alla marcia del 28 ottobre 1922 e un corredo di foto-immagini-frasi inequivocabili. Non mancarono gli imbarazzi dei partecipanti, una volta scoperti” racconta Berizzi. 

Un evento che comunque si commenta da solo e che, per preservare la mia stabilità mentale, è anche meglio non rivangare oltre. 

D’altronde come spiega lo stesso Berizzi nell’intervista, quello dei legami tra una certa destra e gli ambienti neofascisti è un problema nato dalla dissoluzione di Alleanza Nazionale. I suoi superstiti iniziarono a vedere in Fratelli d’Italia, l’unica vera prosecuzione politica soddisfacente per la ricostituzione di una nuova organizzazione fascista.

E di esempi purtroppo, ce ne sono tanti a testimoniare che ciò che ci ha raccontato Fanpage non è un problema che abbiamo scoperto d’improvviso. 

Come quando il cofondatore di Fratelli d’Italia Ignazio La Russa ebbe la brillante idea di suggerire, date le limitazioni su abbracci e strette di mano imposte dalla pandemia, di sostituire la poco igienica e tradizionale stretta di mano con il saluto nazifascista. Lungi dal voler realmente prendere le distanze dal fascismo, l’impressione è che invece Fratelli d’Italia punti a conquistare anche quell’elettorato che piuttosto che disdegnare, insegue invece con una certa convinzione. E che soltanto quando l’opinione pubblica decide di indignarsi di fronte a certi episodi impossibili da nascondere, si vadano a prendere dentro il partito delle prese di posizione che restano però sempre tenui. 

Un diktat in cui Fratelli d’Italia spiega chiaramente che loro con il fascismo nulla vogliono avere a che fare, che loro non vogliono i voti di chi crede con convinzione in quell’ideologia, per il momento non si è vletto

Si è vista invece la grande abilità della Meloni nel destreggiarsi in scandali sensibili, senza mai finire impantanata in un terreno in cui basterebbe pochissimo per scavarsi la fossa da soli, quantomeno mediaticamente. La sua ascesa arriva oltretutto, come anche Berizzi sottolinea, in un momento in cui le frange neofasciste hanno “un forte appeal soprattutto nel mondo giovanile. Come racconto nel libro, punta soprattutto sulla potenza delle suggestioni: simboli, abbigliamento, estetica, miti e slogan rimasticati e riproposti alle nuove generazioni”.

Ancora più interessante in tal senso la considerazione successiva di Berizzi: 

“Nel terzo millennio non c’è un tirocinio per diventare neofascisti, lo si diventa quasi casualmente: dopo una partita allo stadio, un concerto, una manifestazione in piazza. Ai giovani viene offerta l’opportunità di sentirsi “soldati politici” al servizio della patria sovrana per difendere il territorio, dove il territorio è la nazione, la città, il quartiere.”

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Nessuno mette in dubbio che Giorgia Meloni, da un punto di vista umano ma anche di contenuti politici, sia distante da qualunque corrente neofascista o similare. Eppure tutte le volte che un esponente del suo partito è stato accusato di avere legami con quella realtà, la sua reazione non è mai stata quella di una persona che intende chiudere i ponti con quell’elettorato e dimostrare che un’altra destra, che crede nella democrazia e non nella sottomissione dell’individuo, è possibile. È sempre stata piuttosto la reazione di chi sa, ma a quei voti non ci vuole comunque rinunciare. 

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Di giornalisti bravi però ne esistono. E la politica catanese dovrebbe forse riflettere sul fatto che il prossimo scandalo, che forse non arriverà mai ma che, seguendo il trend di questi anni è invece probabile, potrebbe portare allo scoperto legami persino più oscuri. 

Degli amici di Hitler di Fidanza, la Meloni non ne era a conoscenza, e nulla esclude che sia tenuta tutt’ora all’oscuro, all’interno del suo stesso partito, anche di altri legami che potrebbero rivelarsi persino peggiori di ciò che ha portato alla luce Fanpage.

Esiste un limite a ciò che l’opinione pubblica, ma anche gli elettori di centrodestra, possono tollerare.

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