I risultati delle amministrative archiviano l’esperienza grillina in molte città. Ma gli effetti potrebbero essere per tutto il M5S
Le Stelle sono in caduta libera. Il M5S esce duramente sconfitto da queste elezioni amministrative, nonostante i proclami di Giuseppe Conte di un fronte allargato col Pd e la vittoria nel comune di Napoli, che si conferma l’ultima roccaforte dei grillini. Proprio in questi giorni nel Movimento ricorreva l’anniversario della sua fondazione, una festa amara condita da risultati elettorali imbarazzanti per la prima forza di Governo.
Solo cinque anni fa il Movimento portava un candidato a conquistare la poltrona di sindaco in ben 23 comuni: Pisticci, Cattolica, Anguillara Sabazia, Genzano di Roma, Marino, Nettuno, Roma, Vimercate, Castelfidardo, Fossombrone, Pinerolo, San Mauro Torinese, Torino, Ginosa, Noicattaro, Carbonia, Dorgali, Alcamo, Favara, Grammichele, Porto Empedocle, Chioggia e Vigonovo. Oggi il partito di Giuseppe Conte non è riuscito a presentare una lista nel 35% dei enti amministrati in questi cinque anni, senza contare che in città 7 città, tra cui Torino, il primo cittadino non si è ripresentato.
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Queste ultime ore hanno poi definito la debacle pentastellata a Roma, dove Virginia Raggi, che per qualche ora ha sfiorato la possibilità di arrivare seconda e affrontare un insperato ballottaggio, si posizionata solo quarta nelle scelte dei romani per il sindaco, con il 19.1% delle preferenze. La lista del M5S prende solo l’11% nella Capitale (nel 2016 prese il 35.2%) mentre Cultura e Innovazione Roma Ecologista, la lista sponsorizzata da Alessandro Di Battista in sostegno dell’amica Virginia, raggiunge un imbarazzante 1%.
Del resto quello della Raggi, che doveva essere il laboratorio amministrativo dei 5S che li proiettasse verso il governo, è stata una esperienza amministrativa catastrofica costellata da una lunga serie di scandali, solo la fortuna gli ha permesso che non venisse addirittura sciolta l’amministrazione. Con Raggi si chiude probabilmente l’ultima esperienza amministrativa del Movimento in una grande città. Difficile immaginare che ce ne saranno altre.
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A Milano possiamo parlare di vera a propria “degrillizzazione“. Nel capoluogo lombardo, dove in realtà il M5S non ha mai sfondato, la candidata scelta da Conte, Layla Pavone, ha preso il 2.7% delle preferenze (meno della lista Brexit di Gianluigi Paragone, 2.9%) rimanendo addirittura fuori dal consiglio comunale della città. A Torino, dove Chiara Appendino ha deciso non confrontarsi col voto, rispetto a cinque anni fa il M5S ha perso oltre i due terzi dei voti, attestandosi all’8% (nel 2016 prese il 30.9%). A Trieste il M5S passa dal 19,2% del 2016 al 4%, a Bologna dal 16,5% al dal 3,5%.
Iniziata ufficialmente solo questa estate, l’era Conte potrebbe essere già al capolinea. L’ex-Presidente del Consiglio ha quasi dilapidato il capitale di consensi che aveva raggiunto negli scorsi mesi, ma risollevare un partito senza idee e che ha basato tutto il suo consenso sulla sola protesta priva di contenuti, non è impresa facile. “L’avvocato del popolo” dovrà anzi guardarsi dagli avversari interni che vorranno contendergli la leadership del Movimento, a iniziare proprio da Virginia Raggi, libera dal peso della poltrona del Campidoglio. Raggi rivendica con orgoglio di non essersi mai alleata con Pd e Lega e tuona: “Sono l’unica che sta tenendo testa alle corazzate del Centrodestra e del Centrosinistra“. Chi non ha in simpatia Conte, punterà probabilmente sull’ormai ex-sindaca di Roma per prendere il controllo del Movimento.
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Ora per il M5S c’è un enorme scoglio da superare: l’elezione del Presidente della Repubblica. Qui il partito di Conte rischia una vera e propria Caporetto. Se saprà essere compatto e votare un candidato unitario, valido e vincente, può sperare di arrivare alle politiche del 2023. In caso contrario rischia una diaspora parlamentare che potrebbe arrivare fino allo scioglimento del partito.
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