Mentre Mario Draghi viene applaudito da Confindustria e cerca un punto di mediazione con i sindacati, nelle Aule c’è già chi si chiede quanto potrà durare questo progetto politico a metà tra l’emergenza e l’esigenza di ristrutturare profondamente il Paese. In molti, soprattutto nel centrodestra, parlano di un Mario Draghi al Quirinale, da Brunetta a Giorgetti. Ma c’è chi frena e suggerisce di ripensarci a febbraio. Il problema di fondo è sempre lo stesso: se Mario Draghi fosse eletto al Colle, che fine farebbe l’esecutivo?
Di certo ci sono problemi più urgenti, di certo c’è tempo per pensare alle speculazioni su chi salirà al Colle e su quale ruolo assumerà Mario Draghi nei prossimi mesi. E’ anche vero, però, che l’elezione del nuovo presidente della Repubblica si avvicina (febbraio 2022), e che – storicamente – sono tante le legislature andate in sofferenza proprio sull’elezione del presidente della Repubblica. Il tema preoccupa, anche e soprattutto perché il nome vociferato e acclamato pubblicamente da diversi esponenti politici è lo stesso dell’attuale presidente del Consiglio, Mario Draghi. Per questo nei giorni scorsi si sono alternate dichiarazioni politiche a favore dell’elezione di Draghi al Colle, e dichiarazioni che invece ribadiscono: è necessario aspettare febbraio 2022. In realtà, sarà necessario iniziare a parlarne un po’ prima: a partire da gennaio, il presidente della Camera convocherà il Parlamento in seduta comune e i grandi elettori dovranno scegliere il nuovo presidente della Repubblica. Mattarella ha già comunicato di non volersi prestare a una presidenza bis, spiegando la sua posizione anche recentemente, in visita a Pescara, attraverso le parole del predecessore Antonio Segni: non è praticabile “l’immediata rieleggibilità del Presidente“. Avanti il prossimo, dunque, e l’occhio di tutti cade su Mario Draghi.
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A sostenere l’esigenza di una salita dell’attuale premier al Colle sono stati diversi esponenti della Lega. Tra questi, anche il ministro leghista Massimo Garavaglia: “Che Mario Draghi finisca al Quirinale mi sembra una soluzione logica. Il quando è tutto da vedere. Non dipende certo dal sottoscritto“. Anche per il ministro dello Sviluppo Economico Giancarlo Giorgetti Draghi rappresenta un’incognita e la sua elezione al Quirinale rappresenterebbe un’evoluzione tutto sommato fisiologica dello stato di cose: “La vera discriminante politica per i prossimi sette anni è che cosa fa Draghi. Va al Quirinale? Va avanti col governo? E se va avanti con chi lo fa?”, si interroga il ministro. Certo, Giorgetti non nega che il ruolo di premier è quello più auspicabile (“Vorrei che rimanesse lì per tutta la vita”). Il problema “è che non può” perché “appena arriveranno delle scelte politicamente sensibili la coalizione si spaccherà“. Tanto più che questi problemi “politicamente sensibili” verranno toccati a gennaio, quando “mancherà un anno alle elezioni e Draghi non può sopportare un anno di campagna elettorale permanente“. Poi ancora: “Da gennaio la musica sarà diversa. I partiti smetteranno di coprirlo e si concentreranno sugli elettori”. Insomma, per Giorgetti “l’interesse del Paese è che Draghi vada subito al Quirinale, che si facciano subito le elezioni e che governi chi le vince” e “Draghi diventerebbe De Gaulle”.
Fa eco anche il ministro della Pubblica amministrazione Renato Brunetta, anche lui tessendo le lodi di Draghi: “Per uscire dalla crisi economica e dalla pandemia e per essere leader in Europa, io credo che la persona che ha più titolo per garantire questo per i prossimi 7 anni e cioè per tutta la durata, e anche qualcosa di più, del Pnrr, sia proprio il presidente del Consiglio, Mario Draghi“. Stando ad alcune indiscrezioni persino Giorgia Meloni potrebbe evitare di ostacolare l’ipotesi Draghi presidente della Repubblica, auspicando che in questo modo si venga a creare un posto vuoto e incolmabile a Palazzo Chigi. Tradotto: elezioni anticipate. A frenare però è soprattutto Salvini, che al momento allontana il momento della decisione: “Che prima o poi si vada al voto, e io mi sto preparando per essere all’altezza del Paese, lo dice la democrazia ma io non tiro per la giacchetta né Draghi né Mattarella. Mi sembra una mancanza di rispetto nei loro confronti e degli italiani“. Poi la chiosa: “A febbraio ne riparleremo“.
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E ad allontanare il momento della decisione, ad adottare la linea “ci penseremo”, è anche chi ha in qualche modo creato le condizioni per la nomina di Draghi a Palazzo Chigi: Matteo Renzi. Il leader di Italia viva pronuncia parole che – stando all’Agi – vengono percepite come una frenata (che Renzi stia pensando a un fronte Draghi anche dopo il 2023?). Le parole sono queste: “Draghi sarebbe un grandissimo presidente della Repubblica, è un grandissimo presidente del Consiglio e sarebbe un grandissimo presidente delle istituzioni europee, come il Consiglio europeo e la Commissione europea. Può far tutto, al momento opportuno in Parlamento si vedrà, ora è presto per parlarne“. Nel frattempo Giuseppe Conte rimanda la discussione, tagliando corto: “Io non partecipo al gioco della destabilizzazione, le tirate di giacca fanno male: per il Colle ci sono tante variabili da considerare e ne parleremo in prossimità della scadenza“.
Intanto dal Pd fanno voto di silenzio, anche Letta avrebbe chiesto ai suoi di non anticipare ora posizioni sul prossimo presidente della Repubblica. Anche Letta, dunque, adotta la linea: ci si penserà più in là. Ma resta difficile immaginare che, di fronte a un’ipotesi concreta di Draghi al Quirinale, Letta possa dire di no. A dire di no nel Pd è però Stefano Bonaccini, che afferma tranchant: “Non condivido un passaggio dell’intervista di Giorgetti, cioè, che Draghi debba andare immediatamente al Quirinale. Questo governo deve durare fino a fine legislatura perché in questo momento serve stabilità all’Italia“. La linea è condivisa anche da Base Riformista nel Pd (fatto che ci fa intuire anche quale potrebbe essere la linea di Matteo Renzi al riguardo). Lo ha detto esplicitamente l’ex capogruppo al Senato Andrea Marcucci, che addirittura parla di un Draghi premier anche dopo il 2023: “Lo scenario ipotizzato da Confindustria, con Draghi a Palazzo Chigi anche dopo il 2023, coincide con il desiderio di tanti, e cosa più importante, con l’interesse del Paese“.
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Perché il punto è esattamente questo: molti di quelli che rifiutano l’ipotesi, lo fanno per tenere Draghi a Palazzo Chigi. Come se non bastasse, dalle retrovie alcuni ribadiscono che anche chi – in via Bellerio – fa il nome di Draghi al Quirinale, lo fa con l’intento di blindarlo. Ed è in questo senso che alcuni commentatori leggono le parole di Giorgetti, come il tentativo di frenare le mire da campagna elettorale dei partiti: Draghi non resisterà a una campagna elettorale continua in piena emergenza, quindi o si trova un sostituto a Palazzo Chigi (magari spostando Draghi al Quirinale), o si va al voto, dice il ministro. Il problema è che è abbastanza improbabile trovare un sostituto con la stessa credibilità e autorevolezza di Draghi, che ha unito i partiti proprio grazie alla propria figura (e ai soldi del Pnrr, ma questa è un’altra storia). Insomma, la realtà è questa: in Parlamento c’è poca voglia di tornare al voto, un’ipotesi forse caldeggiata dalla sola Giorgia Meloni. Per questo le parole di elogio alla prospettiva Draghi al Quirinale vanno prese su più strati di lettura, contestualizzate e lette anche al rovescio. Oltretutto, sulla questione pesa una variabile non da poco: Draghi cosa ne pensa?
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