Il numero due del Carroccio, Giorgetti, parla alla Stampa e le sue parole rivelano le fragilità di una Lega non più in piena forma.
Nel giorno in cui diversi giornali pubblicano in merito all’indagine a carico di Luca Morisi, Giancarlo Giorgetti rilascia una lunga intervista al quotidiano La Stampa.
Del presidente della Repubblica “io riparlerò a febbraio. A settembre mi sembra prematuro cercare di tirare per la giacchetta Mattarella, Draghi e chiunque altro”. Il leader della Lega, Matteo Salvini, aveva messo così la parola fine a qualsiasi gossip sulla possibile successione di Sergio Mattarella al Colle. Ma se il Capitano frena sul dibattito, nella Lega è il ministro per lo Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti a disegnare un possibile scenario.
La lista delle ipotesi per il Quirinale è davvero folta. C’è la carta Silvio Berlusconi a cui mancherebbero circa 50 voti dal quarto scrutino in poi. Per il centrodestra si fanno anche i nomi di Gianni Letta, Maria Elisabetta Casellati e Marcello Pera; per il centrosinistra si parla di Romano Prodi, Dario Franceschini, Walter Veltroni e Paolo Gentiloni. Senza dimenticare il nome dell’attuale ministro della Giustizia, Marta Cartabia e la proposta di Renzi: di Pier Ferdinando Casini.
Giorgetti non ha escluso l’ipotesi Casini, infatti dichiara: “Non lo escluderei. Casini è amico di tutti, no?“. Secondo Giorgetti, le possibilità che Berlusconi faccia il presidente della Repubblica sono «poche». Allora, perché Salvini rilancia la sua candidatura? «Per evitare di parlare di altre cose serie», risponde. Ma Giorgetti ha un altro chiodo fisso come figura politica: “Draghi”. Secondo il ministro “la vera discriminante politica per i prossimi sette anni è che cosa fa Draghi. Va al Quirinale? Va avanti col governo? E se va avanti con chi lo fa?”. Questi sono gli interrogativi del ministro, il quale vorrebbe “che rimanesse lì per tutta la vita” ma “il punto è che non può”. L’impossibilità viene spiegata con una previsione: “appena arriveranno delle scelte politicamente sensibili la coalizione si spaccherà.
A gennaio mancherà un anno alle elezioni e Draghi non può sopportare un anno di campagna elettorale permanente”. “Da gennaio la musica sarà diversa. I partiti smetteranno di coprirlo e si concentreranno sugli elettori”. La conclusione è: “l’interesse del Paese è che Draghi vada subito al Quirinale, che si facciano subito le elezioni e che governi chi le vince”. “Draghi diventerebbe De Gaulle”. L’interesse ad accelerare il processo per andare alle elezioni, è nell’interesse del paese o del partito di destra che sta perdendo il suo ruolo di leadership nella coalizione? Sarebbe quantomeno una fortunata coincidenza che l’interesse del paese sia far votare gli italiani prima che la Meloni rubi lo scettro a Salvini e che gli scandali come quello di Morisi facciano perdere voti alla destra.
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L’altra ipotesi, valutata da Giorgetti, è che Draghi resti al suo posto come premier. Cosa farebbe allora Mattarella? “Mattarella resta solo se tutti i partiti lo votano. E la Meloni ha già detto che non lo voterà”. Alla domanda sul supporto di Salvini a Mattarella risponde “Penso di no”, per cui il bis si fa “complicato”.
Un passaggio dell’intervista coinvolge anche dinamiche interne alla Lega. Alla domanda su contrasti o divisioni nel partito risponde sul fatto che di Lega ne esiste “una sola, fatevene una ragione”. Non ci sono due linee all’interno del Carroccio, garantisce il ministro Giorgetti, ma “al massimo sensibilità diverse”.
All’orizzonte ora ci sono le amministrative del 3 e 4 ottobre. Sul voto a Roma Giorgetti ha le idee chiare. “Dipende da quanto Calenda riesce a intercettare il voto in uscita dalla destra. Nei quartieri del centro penso che sarà un flusso significativo. Ma non so come ragionino le periferie. Se Calenda va al ballottaggio con Gualtieri ha buone possibilità di vincere. E, al netto delle esuberanze, mi pare che abbia le caratteristiche giuste per amministrare una città complessa come Roma”. E se al ballottaggio ci vanno Gualtieri e Michetti? “Vince Gualtieri”, risponde. E ammette: “So che il candidato giusto sarebbe stato Bertolaso”.
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Durante il suo tour nel Torinese, il ministro ha parlato anche dell’ipotesi che Intel apra una fabbrica di chip a Mirafiori. “Noi ci siamo messi in concorrenza internazionale con la Germania e la Francia per questo investimento che vuole fare Intel. Ci sono diverse localizzazioni che sono state valutate dalla struttura che c’è a Palazzo Chigi. Nei prossimi giorni arriveremo all’accordo finale”, ha detto.
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Ma, come racconta La Stampa, Giorgetti non fa promesse. Né sul caso degli operai ex Embraco né su Intel. “C’è molta concorrenza a livello europeo”. “Prima di tutto”, ha aggiunto, “dobbiamo vincere come Italia e poi, all’interno del Paese, la competizione è su dati geografici ma anche soprattutto sulle competenze”. “Ho proposto Torino, e in particolare Mirafiori, perché ritengo che ci siano talenti, capacità, intelligenze, innovazione assolutamente adatte per un investimento di quel tipo”.
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