In Siria decine di bambini stanno morendo poiché intrappolati nei campi per sfollati di Al-Hol e Roj, nella zona nord-orientale del Paese. I piccoli sono in costante rischio di violenze e malattie. L’allarme è arrivato tramite Save the Children. L’associazione umanitaria ha chiesto ai governi stranieri di assumersi le proprie responsabilità ed impegnarsi per rimpatriare i minori e le loro famiglie. Il numero di coloro che rientrano nei rispettivi Stati, dal 2020, è infatti in netto calo.
Un appello di Save the Children mette in luce le condizioni terribili in cui vivono gli sfollati dei campi di Al-Hol e Roj, nella zona nord-orientale della Siria. L’associazione, nel corso del rapporto ‘Quando inizierò a vivere? L’urgente bisogno di rimpatriare i bambini stranieri intrappolati nei campi di Al Hol e Roj‘, ha denunciato in particolare le violenze e i soprusi di cui sono vittime i più piccoli. Dall’inizio dell’anno ne sono già morti 62 (due alla settimana) per cause non specificate e 2 per omicidio, mentre tra gli adulti sono state uccise 71 persone. Una situazione allarmante. La criminalità nella zona è all’ordine del giorno, ma anche malattie ed eventi naturali come gli incendi mettono a rischio la sopravvivenza degli abitanti. Da qui la richiesta dell’organizzazione umanitaria affinché i Governi stranieri cerchino di svuotare i campi.
I campi di Al-Hol e Roj, in base ai dati contenuti nel rapporto realizzato da Save the Children sul tema, ospitano oltre 60.000 persone, di cui 40.000 sono bambini. Il 50% delle persone che vivono a Al Hol e il 55% a Roj sono minori di 12 anni. Solo il 40% dei bambini di Al Hol sta ricevendo un’istruzione e nel campo di Roj, il 55% delle famiglie ha riferito casi di lavoro minorile tra i bambini con meno di 11 anni. Quei luoghi, senza dubbio, non sono un posto adatto per la loro crescita, tanto che i piccoli hanno già alle spalle anni di esperienze traumatiche che si ripercuotono sulla loro salute mentale. Matrimoni precoci, violenze domestiche e altri tipi di abusi sono all’ordine del giorno.
“Ho paura di vivere nel campo”. A raccontarlo ai membri dell’associazione Save the Children che operano in Siria è stata una bambina di dieci anni originaria della Turchia. “La gente qui litiga in continuazione e ogni volta che sento qualcuno urlare mi copro le orecchie con le mani. Non faccio uscire nemmeno mia madre perché tirano fuori i coltelli, gridano, si minacciano con frasi tipo: ‘Ti ammazzo, ti taglio la testa’”, ha rivelato. Esperienze simili anche da parte di suoi coetanei, che hanno timore di girare per Al Hol e Roj, soprattutto nelle ore serali. Ansia e depressione sono inevitabili. Alcune delle famiglie che si trovano in quei luoghi non hanno neanche una tenda dove dormire, poiché gli incendi l’hanno distrutta.
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La maggior parte delle persone che vivono nei campi per sfollati sono cittadini siriani e iracheni, molti dei quali hanno cercato rifugio dall’Isis, ma ci sono anche donne e bambini che provengono da circa altri 60 paesi. È per questa ragione che Save the Children ha rivolto un appello ai Governi stranieri affinché favoriscano i rimpatri. Il processo, in precedenza, era costante. A partire dal 2020, tuttavia, complice l’avvento della pandemia di Covid-19, si è registrato un netto calo nei ritorni nei paesi d’origine. Dall’inizio di quest’anno sono stati soltanto 14 per quanto riguarda i bambini. In passato, invece, erano stati più di 1000, ovvero il 59% del totale. Secondo i dati contenuti nel rapporto, gli Stati membri dell’UE, il Regno Unito, il Canada e l’Australia non hanno fatto abbastanza per rimpatriare i propri cittadini. Il Regno Unito, ad esempio, ha rimpatriato solo quattro bambini mentre si stima che altri 60 siano rimasti lì. La Francia ha riportato nel Paese solo 35 degli almeno 320 bambini totali. Al contrario, negli ultimi mesi, paesi come la Germania, la Finlandia e il Belgio hanno rimpatriato madri e bambini dai campi, dimostrando ancora una volta che è possibile salvare vite se c’è volontà politica.
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“E’ incomprensibile che siano condannati a questa vita”. Lo ha detto Sonia Khush, responsabile di Save the Children per gli interventi in Siria. “Quello che vediamo sono bambini abbandonati dai loro governi, nonostante essi siano le prime vittime del conflitto. L’83% delle operazioni di rimpatrio è stato effettuato da Uzbekistan, Kosovo, Kazakistan e Russia ma ora anche gli altri governi devono rispettare i propri obblighi, assumersi la responsabilità nei confronti dei loro cittadini e rimpatriare i bambini e le loro famiglie nel rispetto dei diritti dei bambini ai sensi della Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia”. Da qui l’appello al mondo intero. “Ogni giorno in più che i bambini e le loro famiglie rimangono nei campi è un fallimento dei loro governi. Ogni giorno in più in cui viene negata loro l’opportunità di tornare a casa, negati i servizi specializzati di cui hanno disperatamente bisogno e negato loro il diritto di vivere in sicurezza e riprendersi dalle loro esperienze è un giorno di troppo”, ha concluso.
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