I talebani cercano il riconoscimento internazionale: hanno nominato un nuovo ambasciatore all’Onu e ora chiedono di parlare il loro ministro degli Esteri all’assemblea generale Onu a New York. La richiesta arriva in una lettera del ministero degli Esteri dell’Emirato islamico di Afghanistan rivolta al segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres. Immediata la reazione del ministro degli Esteri italiano Luigi Di Maio: “I Talebani vorrebbero parlare all’Onu? Prima dimostrino di rispettare i diritti delle donne. Servono fatti, non parole”.
A livello macroscopisco la situazione in Afghanistan è già chiara da tempo: i talebani hanno bisogno di un riconoscimento internazionale, di una legittimazione in grado di portare con sé anche aiuti umanitari, fondi e risorse per superare la profonda crisi economica in cui l’Afghanistan sta sprofondando. Dall’altro lato, a livello microscopico, il nuovo governo attraversa tumulti interni per capire quale linea adottare: alcuni esponenti moderati dei talebani spariscono dai radar, la rete Haqqani (più estremista e legata ad Al-Qaida) si impone con forza e questo rappresenta un motivo di preoccupazione anche per la comunità internazionale. Intanto, in Afghanistan reale appare chiaro come le promesse di inclusività nel governo e di rispetto delle donne siano destinate a rimanere lettera morta: nel giro di poco tempo alle donne è stato negato lo sport, l’accesso ad alcuni lavori e l’accesso alle scuole secondarie. L’ordinanza dei talebani cita: le scuole secondarie riapriranno per i maschi. Sulle donne, silenzio.
Dall’estero si osserva con preoccupazione, e in questo quadro di gelo è stata ricevuta la richiesta del ministero degli Esteri dell’Emirato islamico di Afghanistan indirizzata al segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres: i talebani chiedono di far parlare il loro ministro degli Esteri Amir Jan Muttaqi alla 76ma assemblea generale dell’Onu a New York. Nella lettera viene inoltre specificato, però, il segnale di discontinuità con il governo precedente: nella missiva si fa riferimento all’ex presidente Ashraf Ghani, “estromesso” dai talebani, non è più capo dello Stato. Infine, sempre nella lettera, i talebani inseriscono un riferimento anche all’attuale ambasciatore di Kabul all’Onu, Gulam Isaczi: sarà necessario sostituirlo con il portavoce di Kabul Suhail Shaheen – dicono i talebani -, dal momento in cui Isaczi non rappresenta più l’Afghanistan.
Nel frattempo, il segretario Onu ha girato la lettera dei talebani al Comitato delle credenziali per un’eventuale valutazione. A comporre il Comitato sono nove Paesi: Stati Uniti, Russia, Cina, Svezia, Namibia, Bahamas, Bhutan, Sierra Leone e Cile. E’ esattamente questo organo che decidere quali rappresentanti siano riconosciuti dall’Onu, è esattamente questo organo a dover prendere una decisione sul nuovo ambasciatore. La possibilità di parlare all’assemblea Onu, dunque, rappresenta una prima forma di legittimazione della comunità internazionale. Ad ogni modo, stando a quanto riportato da La Stampa, dall’Onu fanno sapere: a prescindere dalla decisione presa dalle Nazioni Unite, la partecipazione del governo talebano è improbabile per una questione di tempistiche. Difficilmente il Comitato agirà abbastanza rapidamente da permettere l’intervento del ministro degli Esteri.
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“I talebani vorrebbero parlare all’Onu? Prima dimostrino di rispettare i diritti delle donne. Servono fatti, non parole“, commenta il ministro degli Esteri Luigi Di Maio a New York. Poi sui social specifica la sua posizione: “Le notizie che arrivano dall’Afghanistan sui provvedimenti dei talebani nei confronti delle donne ci preoccupano parecchio. Siamo molto preoccupati per le decisioni, le azioni dei talebani in queste prime settimane di governo in Afghanistan. In particolare siamo molto preoccupati per le azioni contro le donne. Per le azioni che stanno ledendo, danneggiando i diritti umani delle donne in Afghanistan. Per questa ragione l’evento di oggi ha coinvolto molte nazioni, diversi attivisti dei diritti umani, le organizzazioni delle Nazioni Unite e giovanissime donne afghane che si battono per i diritti umani in Afghanistan. E abbiamo raggiunto tre linee d’azione”. Queste linee riguardano una strenua difesa di categorie prese di mira dal nuovo Emirato islamico dell’Afghanistan. La comunità internazionale si impegnerebbe, dunque, a portare avanti i diritti delle donne, a sostenere gli attivisti e le attiviste anche fuori dal Paese, e a mettere in campo un meccanismo di monitoraggio. Attraverso quest’ultimo strumento si intendono verificare i “fatti, non parole“.
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I fatti, tuttavia, parlano di una progressiva aggressione ai diritti delle donne, a partire dall’istruzione: il governo talebano ha deciso di concedere l’apertura di scuole primarie e università a ambo i generi, lasciando però un buco formativo per le scuole secondarie (dai 12 ai 17 anni). Le scuole secondarie, stando all’ordinanza, saranno riaperte per i maschi. Nulla da dire sulle donne. In questo modo il governo talebano sembra voler impedire l’accesso all’università alle future generazioni di donne, consentendo solo a quest’ultima “leva” già iscritta all’università di laurearsi. Un provvedimento che, se dovesse restare così, era già stato adottato dai talebani al momento del loro insediamento nel 1996. Al momento, comunque, il governo islamico prende tempo: dice che la misura verrà modificata, che il governo sta lavorando a mezzi di trasporto più sicuri per le donne, che le lancette dell’orologio non torneranno a vent’anni fa. Ma appunto, il governo talebano “dice”. Le famose parole che, al momento, non corrispondono ai fatti. “Ci sono differenze enormi con il periodo del primo Emirato talebano. Allora la società era molto più semplice. In questi ultimi vent’anni le donne hanno studiato, sono diventate attive, consapevoli. Per forza le cose saranno diverse. Qui a Kabul c’è chi gira con la barba e chi si rasa, chi indossa i pantaloni e chi i vestiti tradizionali. Anche i rivoluzionari più entusiasti dovranno adattarsi a questa situazione”, afferma il portavoce del nuovo governo taleban, Zabihullah Mujahed.
In un’intervista rilasciata al Corriere della Sera Mujahed caldeggia una riapertura dei rapporti internazionali, ma anche un rispetto dei nuovi (vecchi) valori del governo afghano: “Credo sia un mutuo interesse per noi e per voi europei avere le nostre rispettive ambasciate aperte. Noi abbiamo bisogno del vostro aiuto. Per voi resta necessario capire il nostro Paese. Ma dovete anche comprendere che l’Afghanistan non è l’Europa. Per noi talebani le nostre tradizioni sono importantissime. Abbiamo lottato vent’anni per difenderle, compreso la nostra concezione del ruolo della donna. Capisco che per voi i vostri valori siano importanti. Ma dovere rispettare i nostri“. Insomma, aiutateci ma non immischiatevi nella nostra politica interna.
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E proprio sulla politica interna in merito alle donne, il portavoce ha rassicurato ancora una volta: ci sarà un governo più inclusivo, le autorità annunciate sono “provvisorie“, così come i provvedimenti presi fino ad ora. “Non possiamo ignorare che le donne sono una componente importante della nostra società. Sosteniamo che devono poter studiare e lavorare, ma nel rispetto della legge islamica. Dobbiamo garantire la loro sicurezza morale e fisica. Negli ultimi anni erano minacciate. E dobbiamo creare i meccanismi necessari a proteggerle. Va però anche aggiunto che nei nostri ministeri dell’Educazione, Sanità e negli aeroporti le donne sono già tornate a lavorare. Dateci tempo e le cose si metteranno a posto“, ripete il portavoce. Ma visto com’è andata per le altre rassicurazioni dei talebani, lo scetticismo è d’obbligo: prendete subito delle misure rispettose sulle donne e sulle minoranze, e poi metteremo a posto il sostegno proveniente dall’estero, sembra ripetere al contrario la comunità internazionale.
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