La Lega di Matteo Salvini, con l’abbandono dell’europarlamentare Francesca Donato, sembra entrata in una crisi conclamata, stando a quanto emerge dalle indiscrezioni. A pesare non è tanto l’abbandono dell’europarlamentare, ma le motivazioni addotte da quest’ultima: “La linea contro il Green Pass, pur condivisa da larga parte della base, è diventata minoritaria: prevale la posizione dei ministri, con Giorgetti, e dei governatori“. Nel frattempo, la Lega conferma alla Camera la fiducia al governo sul decreto Green Pass, ma sono solo 80 i deputati favorevoli, 52 gli assenti.
La Lega continua il balletto che ha tentato di sostenere a partire dall’insediamento del governo Draghi, ma che ora sembra una condanna inevitabile: dove vedevamo una strategia di Salvini per togliere terreno elettorale a una Giorgia Meloni all’opposizione, ora vediamo anche i tentativi di tenere in piedi un partito dalle tante anime. Sono evidenti da tempo, forse possono essere ridotte a due, ma sono già troppe: da un lato la linea governativa di Giancarlo Giorgetti e dei governatori del nord, rappresentativa di un nord industriale che ha voglia di ripartire il prima possibile, non importa a che condizione, soprattutto in vista di un Pnrr in arrivo; dall’altro la linea di lotta molto vicina alle posizioni più estreme, quella che un tempo sarebbe stata definita “populista”, spesso euroscettica, spesso no Green Pass, spesso in piena sintonia con le posizioni meloniane.
Ebbene, questi due volti iniziano a non poter più coesistere in un unico spazio partitico. I sintomi sono tanti, dalle dichiarazioni contrastanti tra Giorgetti e Salvini (poi sdrammatizzate da ambo le parti) alla tensione per le prossime amministrative (un banco di prova importante per la leadership di Salvini), per terminare con le voci che parlano di un congresso all’orizzonte, e di un Capitano che cerca una moratoria al 18 ottobre, dopo le amministrative. Ma a ben vedere, i sintomi sono evidenti già nei fatti della politica, senza ricorrere a indiscrezioni e retroscena. Ecco quali.
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Primo: alla Camera la Lega ha votato la fiducia al governo sul decreto legge Green Pass bis, ma sono stati solo 80 i voti favorevoli alla fiducia, a fronte di ben 52 assenti (di cui 41 ingiustificati). Ancora una volta, la Lega fornisce informazioni contrastanti. Ricordiamo che all’ultimo passaggio parlamentare aveva approvato il decreto Green Pass al Consiglio dei ministri, per poi presentare 900 emendamenti, per poi ritirarne gran parte, per poi votare un emendamento di FdI? Ebbene, il balletto prosegue, anche se con minore ambiguità rispetto al passato. Questa volta la Lega promette di non voler alzare i toni, fa il suo dovere in qualità di partito appartenente alla maggioranza, ma i segni della frattura sono evidenti nel numero dei deputati assenti. Il leader della Lega Matteo Salvini nega: “C’è la Lega, punto. È chiaro che il primo partito del Paese che ha milioni di italiani che gli danno fiducia ha sfumature diverse, però noi vogliamo tenere insieme salute e lavoro”. Ma sarà veramente così? Davvero queste contraddizioni sono semplici espressioni di un pluralismo interno al partito?
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Una risposta in tal senso può arrivare se si osservano le parole con cui Francesca Donato, eurodeputata della Lega, spiega le ragioni dietro il suo abbandono del partito: “Non posso più stare in un partito che sostiene il governo Draghi“, dice in un’intervista a la Repubblica. La sua linea critica nei confronti dell’esecutivo – dice Donato – è la stessa della base, ma “è diventata minoritaria. Prevale la posizione dei ministri, con Giorgetti, e dei governatori. Io non mi trovo più a mio agio e tolgo tutti dall’imbarazzo“. Il fronte caldo è sempre quello relativo ai vaccini e al Green Pass: “Io credo nella libertà individuale e nel principio di autodeterminazione delle scelte sulla salute. Principi inderogabili che questo governo sta violando“.
Ma il vero punto di interesse di queste dichiarazioni sta, appunto, nel rammarico di non sentirsi più rappresentata dalla linea di partito. E, stando a quanto sostiene Donato, in tanti si sentono come lei: “C’è una prevalenza della linea dei presidenti di Regione e dei ministri, capeggiati da Giorgetti, a favore delle scelte del governo Draghi”. E questo fa crescere le voci di dissenso: “Non pensate che le voci contrarie alla linea pro-governo, fra gli eletti, siano sono quelle di Borghi, Bagnai o Siri. C’è un forte dissenso interno che, laddove non sarà composto, non potrà che emergere: potrà verificarsi pure una scissione. Intanto arrivano le amministrative: se non andrà bene, per la Lega, nessuno potrà dire che il problema erano i No Vax. Anzi, i governatori del Nord dovrebbero fare una riflessione in quel caso”.
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Salvini apprende la notizia dell’abbandono della Donato, legge le sue parole e commenta tranchant: “Chi va lo ringrazio, lo saluto e tanti auguri“. Poi posta su Twitter una serie di foto con i governatori e Giorgetti, a voler dimostrare l’unità del partito (ma in realtà dimostrando esattamente l’opposto, ovvero il suo tentativo ultimo di convincere, attraverso una foto, che quel quadretto esiste ancora). “Dedicato a chi ci vuole male. Uniti si vince!”, commenta Salvini. Ma se Salvini evita di commentare “le fantasie” su un cambio di linea della Lega, su un tacito passaggio di consegna alla linea governativa, la voce del governatore fiulano Fedriga si fa sentire forte e chiara a proposito dell’abbandono di Donato, e torna sul punto: “Nel primo partito d’Italia è normale che ci siano correnti diverse, ma nella Lega non c’è posto per i No Vax“. Giorgetti non commenta, è impegnato in un tour tra le imprese che lo ha portato a Napoli, dove però trova il modo di tessere le lodi di Mario Draghi: “Oggi non basta la storiella del decreto legge, devi essere affidabile. Oggi se vai in crisi chiedi a Draghi di fare un colpo di telefono e la risolvi perché credono a lui”.
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Difficile dire cosa accadrà alla Lega prossimamente. Di certo una scissione non è auspicabile, né per la Lega, né per la maggioranza, né per il governo. E al momento non sembra l’ipotesi più plausibile: la Lega è un partito di commissariamenti della leadership, non un partito di scissioni. Ciò che emerge dalle indiscrezioni è un sentimento di attesa: le amministrative sono all’orizzonte, si inizia a parlare di un congresso per dettare una linea precisa (e magari una leadership più chiara al partito). Intanto, la linea governativa si fa più forte. Il problema è capire quanto Salvini riuscirà a tenere a bada gli altri, quelli della Lega di lotta, e quanto invece voglia cavalcare questo dissenso diffuso per riaffermare la propria leadership.
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