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Estero

BRICS: l’agonia di un’idea alternativa

Vent’anni fa nascevano i BRICS. O meglio nasceva un’idea un po’ utopista e sognatrice, un po’ terzomondista. 

Il club dei soliti ricchi, dei soliti noti includeva sempre e comunque Stati Uniti e paesi dell’Unione Europea. Un club esclusivo in tutti i sensi, ma soprattutto nel senso peggiore: nel senso di aver creato un direttivo che si coordina molto bene, ma che esclude chi non ne fa parte. E allora nascevano i BRIC (all’inizio il Sudafrica non c’era): un pugno di paesi certamente non ricchi, ma pieni di risorse e rampanti che decidevano non di smaniare per entrare in qualche club esclusivo, ma di crearsi un club tutto loro.

Un qualcosa di nuovo

D’altra parte se l’unione fa la forza, perché devono unirsi soltanto quei paesi che forti lo sono già? Dopo tutto l’idea era questa: uniamoci tra noi che non facciamo parte di nessun club esclusivo, ma collaboriamo e cerchiamo di ribaltare le cose. Un’utopia strana apolitica, senza etichette ideologiche, senza urla. Poteva sembrare un modo nuovo di ragionare che metteva da parte i tag ideologici del ventesimo secolo e si concentrava su progetti più pragmatici. In molti ci avevano scommesso. I BRICS da anni si riuniscono, ma il problema è che hanno sempre meno da dirsi.

Questa idea di coordinamento tra paesi così diversi e lontani sostanzialmente è fallita. È fallita senza colpa di nessuno. E’ fallita semplicemente perché la Cina ha cominciato a crescere in una maniera spaventosa e gli altri hanno avuto poco da dire a questo colosso dell’ hi-tech che ingolfava il mondo con i suoi smartphone economici e di qualità. A questo gigante che produceva la quasi totalità della merce che circola nel pianeta. Gli altri, in fondo, sono rimasti quelli che erano e questo coordinamento è servito a ben poco.

Poco da dirsi ed è un peccato

Nascono nel 2001 come BRIC: Brasile, Russia, India e Cina. Paesi con un potenziale di crescita straordinario, in grado di ribaltare le regole di un gioco stantio. Nel 2010 si aggiunge il Sudafrica. Goldman Sachs nel 2001 conia questo acronimo ed a novembre festeggeranno vent’anni. Ma c’è qualcosa da festeggiare? In effetti il primo decennio è stato rampante. Ma poi le strade si sono separate. L’unione non ha fatto la forza e neppure la debolezza. E’ stata ininfluente. Creano la BRICS Bank, ma neppure questo nome regge e diventa New Development Bank. Quasi che quella sigla sia diventata poco sensata nel tempo.

I BRICS non hanno fatto fronte comune. Non lo hanno fatto dal punto di vista commerciale e non lo hanno fatto nel riconoscere di avere forti criticità dal punto di vista sanitario. Neppure la pandemia li ha portati a battere i pugni congiuntamente per rimuovere i brevetti ed espandere la platea dei beneficiari del vaccino. E’ stata l’OMS a dover dire che prima di pensare alla terza dose per i paesi ricchi, si doveva finire il ciclo della prima per tutti.

Potrebbero essere un centro di raccordo prezioso

Anche quest’anno l’incontro annuale dei cinque (tenuto da remoto) è stato avaro di impegni e progettualità. C’era il primo ministro indiano Narendra Modi, il presidente Xi Jinping, il presidente Vladimir Putin, il primo cittadino brasiliano Jair Bolsonaro e il presidente sudafricano Cyril Ramaphosa.

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Ma a mancare erano i progetti comuni, anche solo i buoni propositi.  L’unico guizzo è stato l’antiamericanismo di Cina e Russia.

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Ma anzi, potremmo dire due antiamericanismi diversi che per caso si incontravano. Forse è vero che la mancanza di tag ideologici è l’elemento più fresco di questo gruppo, ma fa si che quando mancano gli argomenti concreti, non ci sia neppure una retorica condivisa a riempire i vuoti. 

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