L’emergenza sanitaria Covid ha riportato sotto i riflettori il tema del sovraffollamento delle carceri italiane.
Innanzitutto, in tutte le carceri d’Italia i contagi si moltiplicano spesso in maniera preoccupante. Per evitare il peggio il ministero della giustizia ha approvato una serie di provvedimenti che hanno diminuito le carcerazioni preventive. Per questa ragione, nell’anno della pandemia, i detenuti sono passati da 61mila – per circa 47mila posti disponibili – a 53mila. Il tasso di affollamento, però, resta del 113% e, in 11 istituti, raggiunge il 150%.
“Il carcere è un luogo dove in generale ci si ammala, è un luogo patogeno, e le condizioni sanitarie dei detenuti sono peggiori di quelle dei cittadini liberi”, dice Claudio Paterniti, ricercatore dell’associazione Antigone. “La salute dipende anche dalle condizioni socioeconomiche, e in galera sono quasi tutti poveri e con tassi d’istruzione bassi. Il covid-19 ha aggravato una situazione già difficile. Ci si è trovati di fronte alla necessità di bilanciare diritto alla salute ed esigenze di sicurezza. La soluzione più ricorrente è stata quella di tenere i detenuti in cella, mentre si poteva fare più ricorso alle misure alternative. Ricordiamoci che la costituzione parla di pluralità delle pene, ma è stato fatto troppo poco”. Da quando è scoppiata la pandemia 18 persone sono morte a causa del Covid.
Questo settembre hanno superato la soglia di 70mila le dosi di vaccini somministrate ai detenuti. Gli ultimi dati segnalano 74.209 dosi somministrate ai detenuti, secondo il conteggio del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria del Ministero della Giustizia. Sono oltre 6mila in più rispetto a un mese fa, quando avevano raggiunto la quota di 66.125. Calcolando le due dosi per detenuto, questo significa che siamo quasi al 70% della campagna vaccinale per i carcerati. Sono invece 24.196 i poliziotti penitenziari avviati alla vaccinazione (solo il 32% della campagna vaccinale) e 2.642 unità tra il personale dell’amministrazione.
Al momento i detenuti presenti nelle carceri italiane sono 52.624, di cui 76 positivi: si tratta circa dello 0.15% di tutti i detenuti (rispetto allo 0.21% della popolazione italiana contagiata).
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Il garante campano dei detenuti, Samuele Ciambriello, ha da poco rilasciato una dichiarazione sui positivi al Covid nelle carceri campane. «Spero che il governo quanto prima metta in campo dei ristori e dei provvedimenti in favore dei detenuti – afferma Ciambriello – utilizzando il principio che stabilisce che in condizioni di detenzione tali da violare l’articolo 3 della convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, vi sia la possibilità a titolo di risarcimento del danno, di una riduzione della pena detentiva ancora da espiare pari, nella durata, a un giorno per ogni dieci durante il quale il richiedente ha subito il pregiudizio».
Il bilancio del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (DAP) è cresciuto del 18,2%, passando da 2,6 a 3,1 miliardi. Si tratta di una cifra che batte tutti i record degli ultimi 14 anni, e che rappresenta il 35% del bilancio del Ministero della Giustizia. In parte i risultati dei provvedimenti deflattivi si sono visti ma da soli non sono sufficienti. Questo perché ci sono almeno due problemi fondamentali nel carcere italiano.
Il primo problema è rappresentato dalle difficili condizioni di vita in carcere e, in particolare, dai bassi standard igienico-sanitari. Come rilevato dall’Associazione Antigone, in diversi istituti non vi sono docce in cella, ma solo in comune a tutta la sezione; inoltre, non sempre è presente l’acqua calda e in alcuni casi i servizi igienici sono a vista e non in apposito ambiente separato. Come ben riassunto dalle parole del sociologo Luigi Manconi, in carcere si vive: “Una promiscuità coatta in ambienti dove, come per volontà di un architetto di interni impazzito, la doccia e il water, il lavandino e la dispensa si sovrappongono e si mescolano per rispondere ai bisogni fisiologici primari: orinare, mangiare, lavare, defecare, in pochi metri quadrati”.
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In secondo luogo, si deve aggiungere una considerazione generale sulla realtà carceraria nel suo complesso. L’idea del carcere come luogo chiuso, isolato e separato dal resto della società e, pertanto, sicuro è profondamente errata. Anzitutto, i detenuti hanno costanti e quotidiani contatti con il mondo esterno per il tramite di coloro che lavorano all’interno delle carceri. Direttori, educatori, agenti della Polizia Penitenziaria, avvocati, magistrati, mediatori culturali, psicologi, staff medico e infermieristico, volontari e insegnanti. Poi ci sono tutti i detenuti lavoratori o le attività organizzate per il reinserimento sociale dei carcerati.
Questa breve riflessione evidenzia che anche il carcere può essere fonte e luogo di infezione; infatti, come sottolineato anche dalla Organizzazione Mondiale della Sanità: “L’esperienza dimostra che carceri, prigioni e altri ambienti dove le persone sono costrette alla promiscuità possono funzionare da fonte di infezione, amplificazione e diffusione delle malattie”.
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