La strage del World Trade Center ed il suo ventesimo anniversario: un evento epocale che ha indirizzato la storia del mondo e della vita di tutti noi.
I due Boeing che si infilano nelle due Torri, prima l’uno e poi l’altro. Le esplosioni. Le urla dei newyorkesi, sgomente di fronte alla Storia che stava entrando nelle vite singole di ognuno di loro, e di ognuno di noi. Le immagini del “falling man”, l’uomo senza nome che si precipitò dalla Torre Nord preferendo morire così che divorato dalle fiamme. I crolli, le nuvole di polvere, i due grattaceli che si sbriciolano. Uno dei simboli dello strapotere economico dell’Occidente, ma anche di una cultura a cui tutti noi, volenti o nolenti, apparteniamo che crolla sotto i colpi di un nemico che per la prima volta apparve realmente globale. Era scoppiata una guerra, e nessuno era pronto a combatterla.
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A partire dall’allora neoeletto presidente George Bush: anche la sua espressione basita nel momento in cui veniva avvertito che l’America era sotto attacco è passata alla storia. E poi tutto il resto: l’invasione dell’Afghanistan, l’Iraq, Saddam Hussein catturato e poi impiccato, le notizie via via sempre più ovattate di quelle guerre infinite che proseguivano. I militari morti, compresi i nostri, e la retorica che ogni volta risuonava. Ma che qualcosa non stesse andando bene lo si stava comprendendo: sembravano guerre vinte, eppure non finivano. La morte di Osama Bin Laden, vero e proprio “fantasma” fino a quel primo maggio del 2011, sembrava un momento di definizione: non lo fu. Arrivò lo Stato Islamico, di nuovo la guerra in Iraq, in Siria. Ed ancora il terrorismo in Occidente, con le stragi a Parigi, a Londra, a Bruxelles.
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Quella guerra, iniziata l’11 settembre del 2001, andava avanti: cambiava forma, spostava il proprio baricentro, si rimodellava ma andava avanti. Con un pezzo del mondo islamico che vedeva l’Occidente come sui nemico. Gli Stati Uniti innanzitutto, ma non solo. La nostra cultura, la nostra economia, i nostri valori. Che poi, magari, ci sia anche un motivo alla base di questo odio, purtroppo conta poco. Di fronte alle logiche della guerra, della vendetta, della sopravvivenza il tentativo di spiegare è sempre risultato inutile e ridondante. E’ la storia dell’uomo che ce lo insegna.
Eppure le immagini dei talebani che, dopo venti anni, rientrano da vincitori a Kabul qualche pensiero lo innescano. In questi venti anni, solo in Afghanistan, i bombardamenti degli americani e dei loro alleati (cioè anche noi) hanno causato decine di migliaia di morti civili. Il paese intero è stato ridotto ad un cumulo di macerie, esattamente come è avvenuto in Iraq. Nonostante questo, alla fine si è tornati al punto di partenza, se non peggio: l’Afghanistan ai talebani, l’Iraq diviso e guidato da un governo debole ed eterodiretto, che nel 2015 è stato messo alle corde dai tagliagole dello Stato Islamico.
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Quando non sono più serviti a nulla, i due paesi sono stati abbandonati. Per esigenze strategiche e di politica estera: che era un pò il motivo per cui Osama Bin Laden aveva dichiarato la “guerra santa” contro gli Stati Uniti. La politica estera USA aveva oppresso, ucciso, o comunque danneggiato i musulmani in Medio Oriente, diceva Bin Laden. E per questo bisognava combatterli. La situazione non è cambiata molto, in questi venti anni. E l’Afghanistan dei talebani, nonostante le loro rassicurazioni, potrebbe tornare ad essere quello che era alla fine degli anni ’90: una ottima base per organizzare e strutturare reti terroristiche.
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