In Afghanistan è stato nominato il nuovo governo ad interim dei talebani e non promette nulla di buono: il nuovo primo ministro Mohammad Hassan Akhund figura nella lista dell’Onu tra i “terroristi o associati terroristi”; il ministro dell’Interno Sirajuddin Haqqani è esponente della rete di milizie ritenuta vicina ad Al Qaida. Tanto per dirne due. Inoltre, dell’inclusività promessa – inutile sottolinearlo – non resta nulla.
Si sono presentati come moderati, aperti al dialogo, addirittura come inclini a creare un regime inclusivo: l’accento di Oxford di qualche portavoce e la calma nello spiegare la linea dei talebani era solo una copertura rassicurante per nascondere ciò che accadeva dietro le quinte, in provincia, in città, e questo lo sapevamo. Sapevamo che non sarebbe stato un regime inclusivo e sapevamo che i talebani si sono mostrati più moderati di quanto non siano in realtà per sbarazzarsi degli americani il prima possibile e per mantenere rapporti distesi con la comunità internazionale. Insomma, sapevamo che era un bluff. Ma ora ne vediamo i volti: il nuovo governo dei talebani, anche se provvisorio, oltre a essere composto esclusivamente da uomini, elimina ogni collegamento con il vecchio governo filo-americano, accetta al suo interno solo esponenti dell’etnia pashtun e accoglie anche alcuni terroristi e figure attenzionate.
E non si tratta neanche di terroristi qualsiasi. Il nuovo ministro dell’Interno, ad esempio, risulta essere il leader della cosiddetta Rete Haqqani, il gruppo armato vicino anche ad Al Qaida. Una sorta di ponte che, attraverso la sua autonomia finanziaria, riesce a collegare i talebani al gruppo terroristico che vent’anni fa fu attaccato dagli Usa a seguito dell’attentato dell’11 settembre. Un gruppo terroristico non solo ancora presente sul territorio afghano, ma che ora potrebbe godere di un collegamento solidissimo con il nuovo regime talebano.
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Chi sono i principali ministri del nuovo governo dei talebani
Ma procediamo con ordine. Al vertice del governo talebani spiccano il mullah Haibatullah Akhundzada in qualità di emiro e il mullah Mohammad Hassan Akhund in qualità di primo ministro afghano. Il primo “vanta” l’aver ottenuto una promessa di lealtà da Ayman al-Zawahiri, il capo di Al Qaida, che gli ha consentito di affermarsi nello scenario jihadista. Una porzione di curriculum da non trascurare, un curriculum fatto anche di erudizione in questioni giuridiche e religiose, e di un’importante ruolo di coesione all’interno della galassia dei talebani. Per quanto riguarda il primo ministro Mohammad Hassan Akhund, la situazione – se possibile – peggiora anche. Dal 2001 l’Onu lo considera un pericoloso terrorista, tra i più pericolosi in assoluto. Uomo politico e di lotta di lunga data, si è guadagnato la sanzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite dopo una lunga militanza che inizia con il ministero degli Esteri tra il 1996 e il 2001. Successivamente è divenuto governatore della regione di Kandahar e poi consigliere politico del mullah Omar. Insomma, un talebano della prima ora.
Tra i talebani degli esordi – gli stessi di venti anni fa – appare anche Abdul Ghani Baradar, co-fondatore dei talebani, ora nuovo vicepremier del regime. Baradar ha attraversato la storia dell’Afghanistan, dagli anni ’80 (quando lottò contro i sovietici) agli accordi di Doha stretti con l’ex presidente Usa Donald Trump. E si potrebbe dire che, a guardare le firme in calce all’accordo, un’evoluzione di questo tipo era effettivamente prevedibile. Ma la vera nota dolente arriva con i nomi di Mohammad Yaqoob, stratega importante e ministro della Difesa, e di Sirajuddin Haqqani, ministro dell’Interno e capo della Rete Haqqani.
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La Rete Haqqani e lo spettro di Al-Qaida
Il nome e il ruolo del ministro dell’Interno preoccupano e non poco: Sirajuddin Haqqani è attualmente ricercato dall’Fbi per terrorismo, con una taglia di 5 milioni di dollari. Una taglia che ora, con ogni probabilità, scomparirà dalla sua testa per lasciare il posto a un’interlocuzione imbarazzante con le autorità statunitensi. Un ricercato con cui dover dialogare. Un altro segnale della sconfitta, a venti anni di distanza. Haqqani è un esponente di primo piano delle Rete Haqqani. Il dipartimento di Stato statunitense, anni fa, lo definì il “gruppo di insorti più pericoloso” per le forze filo-occidentali, sia per la violenza dei suoi attacchi, sia per la solidità strategica ed economica del gruppo. Ma c’è un altro fattore che preoccupa.
Oltre all’attuale emiro Hibatullah Akhundzada, ora anche Sirajuddin Haqqani si inserisce nel nuovo regime talebano anche in qualità di ponte con Al Qaida. I contatti tra la Rete Haqqani e Al Qaida, infatti, sono rimasti solidi e frequenti anche durante gli incontri con gli Stati Uniti per giungere agli accordi di Doha. A confermarlo, è direttamente un documento del Consiglio di Sicurezza Onu risalente al 2020. Gli accordi di Doha, alla fine, sono stati firmati con una promessa: i talebani non avrebbero più dovuto fiancheggiare Al Qaida. Oggi, la Rete Haqqani risulta ben inserita all’interno del nuovo regime.
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Altre promesse
Eppure, nonostante il vero volto dei talebani sia ormai evidente, nonostante i talebani abbiano ammesso di essere letteralmente gli stessi di vent’anni fa, il nuovo regime prosegue nella sua opera di rassicurazione (probabilmente per ottenere la legittimità internazionale e sbloccare gli aiuti indispensabili per un Paese in crisi come l’Afghanistan). A parlare è stato il portavoce Zabihullah Mujahid in conferenza stampa, proiettato verso i progetti “governativi” del nuovo regime: “L’Afghanistan ha affrontato una grave crisi e l’emirato islamico ha deciso di formare questa amministrazione. Ci sono ancora alcuni ministeri da assegnare, ma noi cerchiamo di nominare delle figure di alta professionalità anche nelle posizioni di sottosegretario. Vogliamo concentrarci sulla professionalità delle personalità che opereranno per questa amministrazione. Questa è un’amministrazione che deve affrontare i problemi immediati del paese: la povertà per esempio, mentre il tema della sicurezza è stato risolto perché non c’è più la guerra“.
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Il nuovo governo talebano sembra avere buoni propositi anche in politica estera (aveva buoni propositi anche in merito all’inclusività, e sappiamo com’è andata). Il portavoce avrebbe ribadito: “Vogliamo buoni rapporti con tutti i Paesi, anche con quelli che combattevano contro di noi, vogliamo buone relazioni secondo le regole islamiche. Non consentiremo interferenze nelle nostre relazioni e e nelle nostre politiche e nei nostri affari. Non consentiremo di chiederci cose non corrispondenti alla sharia e alle regole islamiche. Abbiamo diritto di essere riconosciuti ufficialmente e sostenuti. Rispetteremo i nostri obblighi“. Come a dire, in casa nostra comandiamo noi, ma possiamo andare ugualmente d’accordo, da un punto di vista commerciale. Questo accade a qualche giorno dalla commemorazione dell’attentato dell’11 settembre 2001.