Lo ha spiegato bene Bugani: la forza del M5S era la mancanza di identità. Ma ora senza quella il Movimento rischia di sparire
Non sarà una partenza facile quella di Giuseppe Conte alla guida ufficiale del Movimento 5 Stelle. Le amministrative sono una trappola da cui l’ex-premier sa bene di doversi divincolare, vista la probabile sconfitta a cui il M5S andrà incontro. Lo sa Conte e lo sanno tutti i maggiori esponenti del partito che sono quindi appesi alla popolarità acquisita dall’ex-Presidente del Consiglio durante il suo mandato. Popolarità tanto effimera quanto veloce a sparire.
Sebbene i principali sondaggi li diano intorno al 15% delle preferenze nazionali, le elezioni locali sono un’altra partita. Un test in cui i pentastellati sono ormai rassegnati a perdere le città da loro (molto male) amministrate negli ultimi cinque anni e ad avere un peso molto basso nel tavolo delle contrattazioni. L’unica tornata elettorale in cui i grillini della nuova era Conte hanno qualche speranza di vincere è quella di Napoli dove sono alleati con il Partito democratico. Infatti Virginia Raggi è la persona più detestata della Capitale e che possa sedere di nuovo in Campidoglio appare molto improbabile (difficile che possa anche raggiungere il ballottaggio), a Torino Chiara Appendino ha optato per il ritiro e la candidatura della sua sostituta non è data nemmeno al 10%, mentre a Milano la candidata del M5S è quotata intorno al 2.5%.
Come detto Conte sa bene che la stagione di ampio consenso verso il Movimento è finita e ha applicato l’unica strategia che conosceva: la fuga. Ne è il più lampante esempio la mancata candidatura del M5S a Primavalle a Roma, collegio dove solo tre anni fa la candidata Emanuela del Re batteva i concorrenti con il 34% delle preferenze ed entrava alla Camera, salvo poi dimettersi per incompatibilità con la nuova carica di rappresentante speciale dell’Unione europea. La sua sostituta l’ex-ministra Elisabetta Trenta non è riuscita a raggiungere le misere 300 firme necessarie per candidarsi alle elezioni suppletive. Segno che Roma molti cittadini sono stanchi del Movimento e soprattutto della Sindaca.
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Conte fugge da ogni scelta e responsabilità, tattica che aveva funzionato nella creazione del consenso del M5S ma che oggi, con il partito al governo e nelle sale dei sindaci delle principali città italiane, non più permettersi. 5 anni fa era ben diverso, i pentastellati “sfottevano” gli avversari dicendo di essere “prossimi a scomparire” e le vittorie nelle città furono un volano per quel 33% alle elezioni politiche che portarono la maggioranza relativa del Parlamento e del Governo al M5S e sembravano aver messo nel cassetto i partiti che li avevano preceduti. Che quel risultato fosse un fuoco di paglia lo sapeva anche Massimo Bugani, ex-candidato grillino a sindaco di Bologna e grande animatore del Movimento nella città da cui Grillo lanciò la lunga corsa del partito.
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“Il 33% di voti raccolti nel 2018 era drogato da un po’ di tutto” ha detto Bugani, conscio che nel M5S “ognuno vedeva quello che voleva vedere, serviva per molti a dimenticare di aver votato Renzi o Berlusconi, quasi un modo per pulirsi la coscienza”. L’esponente pentastellato sa bene che quella invocata come una grande rivoluzione era solo un vento di passaggio e che il Movimento si era fatto forte di una crisi di ideali spinti dal populismo in cui ognuno aveva visto in quella proposta elettorale ciò che preferiva. “Quando governi deve emergere la tua identità, devi fare capire davvero chi sei e dove vai, e a noi quella identità mancava, altrimenti non avremmo avuto fuoriusciti che sono andati nell’estrema destra e altri nell’estrema sinistra”.
Bugani lo ha spiegato in poche ma chiare parole e ora Giuseppe Conte è chiamato a un’impresa disperata: dare un’identità a un partito che ha fatto della mancanza di identità il suo punto forte. Questa sarebbe l’unica speranza per il M5S di non andare verso una rapida ma inesorabile scomparsa dai radar della politica nazionale.