La lezione Afghana, metà delle riflessioni politiche emerse negli ultimi mesi può essere ricondotta a questa espressione. Tale discorso vale, in particolar modo, per il ricorrente problema dell’esercito europeo.
In Italia sembra che l’esigenza di una difesa comune Ue sia arrivata fino ai più alti vertici dello stato. Prima Mattarella ha dichiarato “È indispensabile dotare subito l’Unione europea di strumenti di politica estera e difesa comune”. Poi il nostro ministro della Difesa Guerini ha di recente ribadito e ampliato il discorso: “Credo sia infatti ormai chiaro a tutti, e la crisi afgana ce lo dimostra plasticamente, che siamo chiamati ad assumerci responsabilità sempre maggiori, nel quadro di quella che, già oggi, si chiama non a caso Politica di sicurezza e difesa comune. La Difesa europea – osserva il ministro – va perciò vista non tanto, o non solo, come la risposta ad un’esigenza operativa o finanziaria, quanto piuttosto come un tassello fondamentale e necessario alla costruzione di un’Europa più pienamente politica, indispensabile per poter competere sulla scena mondiale”.
Il discorso del ministro della difesa si rivela molto politico nella lettura della cooperazione fra gli stati dell’Unione quale naturale completamento di una politica estera comune per tutta l’UE. Ovviamente il quadro che propone Guerini rimane pragmatico quando sottolinea l’inserimento di tale difesa comune nel più grande quadro della Nato. Ciò, però, non toglie che una coesione della difesa Ue renderebbe più rilevanti a livello internazionale le sue politiche in difesa dei diritti, elemento sottolineato anche in precedenza da Mattarella.
Per molti esperti di geopolitica, come Dario Fabbri, o di storia dell’UE tutto va ricondotto alla morte e agli interessi politici. Andare in guerra significa anche andare a morire e nessun italiano vorrà andare a morire per un francese. Certo ci possono essere occasioni in cui gli interessi dei paesi coincidano, ma, con una Europa ancora molto divisa politicamente, il progetto è quantomeno ambizioso. Insomma, si possono vedere passi avanti per la difesa europea, ma un vero e proprio esercito dovrebbe seguire ad una politica e ad un’identità europea.
Il ministro ha affermato che “Per fare ciò è necessario e urgente un orizzonte politico e una visione comune: analisi delle minacce, definizione di una agenda politica condivisa, costruzione di capacità comuni e soprattutto volontà di utilizzarle come Unione. È il lavoro che stiamo conducendo insieme, con la definizione della Bussola Strategica, che vedrà la luce nel 2022 e che certamente ci porterà ad un importante e decisivo passo in avanti nella direzione della Difesa europea.”
Per comprendere il pilastro della politica di sicurezza e difesa comune è necessario tornare al 2009 e al trattato di Lisbona. Il trattato nasceva dal fallimento della costituzione europea e voleva rassicurare gli stati in merito alla loro autonomia e ai loro poteri rispetto all’unione. Elemento fondamentale quando si parla di esercito europeo è quindi che il trattato di Lisbona richiederebbe l’unanimità di tutti gli stati dell’Unione.
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Quindi se non mettiamo d’accordo tutti non possiamo fare nulla? No, ci sarebbe sempre l’ipotesi di una cooperazione rafforzata. Si parla di tali cooperazioni come Europa a più velocità perché consente ad alcuni paesi di iniziare un percorso a cui poi altri possono aggiungersi. Ci sono stati quindi alcuni, come il generale Camporini, che hanno suggerito una prima fase di cooperazione tra i grandi paesi. Italia, Francia e Germania inizierebbero, ad esempio, la formazione di un esercito comune.
Un progetto del genere, come abbiamo visto, avrebbe davanti a sé molti ostacoli interni ed esterni. I rapporti con Cina, Russia, USA e Nato costituiscono enormi difficoltà ma, allo stesso tempo, i principali motivi per cui l’Europa avrebbe bisogno di maggiore coesione.
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All’interno bisognerà vedere quanto le politiche dei singoli stati saranno disposte a sacrificare il proprio potere per attribuirlo ad una organizzazione sovrannazionale. Se tutti questi problemi, interni ed esterni, si risolvessero, ci sarebbe sempre un ultimo elemento. I singoli cittadini crederanno nell’Europa dei diritti e saranno disposti a combattere (e morire) per lei?
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