Dopo il raid degli Usa in Afghanistan per uccidere “alti profili” dell’Isis, ora sono almeno 5 i razzi lanciati verso l’aeroporto internazionale di Kabul Hamid Karzai. Lo riferisce un funzionario americano a Abc News. Sembra che almeno un razzo abbia colpito un edificio nei pressi dello scalo ma senza fare vittime. Gli altri quattro, invece, sarebbero stati intercettati dal sistema difensivo Usa. Biden è stato informato e chiede di continuare con le operazioni allo scalo. Il punto della situazione.
La situazione in Afghanistan è un crescendo di tensione: nella giornata di domani dovrebbero chiudersi le operazione di evacuazione degli Stati Uniti all’aeroporto di Kabul, e a 48 ore dalla fine la violenza degli attacchi – da una e dall’altra parte – incalza sempre più velocemente. Dopo l’attacco di due kamikaze appartenenti all’Isis-K nei pressi dell’aeroporto di Kabul, gli Usa nella giornata di domenica avrebbero risposto attraverso un raid a Kabul che, attraverso l’utilizzo di un drone, avrebbe colpito dei militanti dell’Isis (stando a quanto riportato dalle autorità statunitensi). L’obiettivo era un’auto con a bordo dei kamikaze intenti a colpire l’aeroporto di Kabul. “Siamo convinti di aver colpito l’obiettivo. Diverse potenti esplosioni secondarie, provenienti dal veicolo colpito, indicano la presenza di molto materiale esplosivo a bordo”, riporta il comunicato Usa.
Poi, i 5 razzi diretti verso l’aeroporto di Kabul, intercettati dal sistema anti-missilistico statunitense. L’impressione è che a Kabul, ma in generale in Afghanistan, si sia consumando una guerra di botta e risposta su più fronti. Il rischio, sempre più reale, è che chi non riuscirà ad essere evacuato si troverà in trappola in uno scenario che persino le autorità occidentali fanno fatica a immaginare e anticipare.
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“Stiamo controllando se vi siano state vittime civili, anche se al momento non ci risulta“, hanno fatto sapere le autorità statunitensi a proposito del raid Usa. Poco prima dell’ufficializzazione dell’attacco, un’esplosione ha colpito una casa nei pressi dell’aeroporto di Kabul. I due eventi potrebbero essere collegati tra loro, ma su questo punto mancano dichiarazioni ufficiali. Le testimonianze riportate dalle principali agenzie di stampa si moltiplicano: stando a quanto riferito dal fratello di una delle vittime a un giornalista Cnn, durante il raid americano sarebbero stati uccisi nove membri di una famiglia, due dei quali di due anni. Stando a quanto riportato dall’Associated Press, il razzo che ha colpito un edificio situato a nord-ovest dall’aeroporto si è “rivelato essere lo stesso evento” dell’attacco Usa. Un raid che di certo non ha placato gli animi: il portavoce dei talebani Zabihullah Mujahid, parlando all’emittente cinese Cgtn, avrebbe definito “illegali” e “arbitrari” i raid aerei condotti dagli Stati Uniti. “Se c’era una potenziale minaccia, doveva essere segnalata a noi, non un attacco arbitrario che ha provocato vittime civili“, ha ribadito Mujahid.
E mentre si cerca di comprendere la reale portata ed entità dell’attacco Usa, a Kabul le minacce di violenza di moltiplicano: diversi razzi sono stati sparati contro l’aeroporto di Kabul a meno di 48 ore dalla fine delle evacuazioni Usa dall’Afghanistan. Stando a quanto ribadito dai testimoni e riportato dal Corriere, sarebbero almeno cinque i razzi partiti da un’auto adibita a “base di lancio” nei pressi dell’aeroporto di Kabul. Secondo una prima ricostruzione, un razzo avrebbe colpito un edificio vicino allo scalo ma senza fare vittime. Gli altri quattro, invece, sarebbero stati intercettati dal sistema di difesa anti-missilistica Usa. A confermare la presenza dei razzi a Kabul è stata la stessa Casa Bianca, che avrebbe sottolineato la presenza di diversi attacchi contro lo scalo, ribadendo: “Le operazioni continuano ininterrotte“. “Il presidente è stato informato che le operazioni continuano ininterrotte all’aeroporto di Kabul e ha riconfermato l’ordine che i comandanti raddoppino gli sforzi per dare priorità e fare tutto il necessario per proteggere le nostre forze a terra”, riporta Jen Psaki, portavoce di Joe Biden.
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Ma cosa ne sarà dell’aeroporto una volta scaduto il termine ultimo per le operazioni di evacuazione? I talebani assumeranno “il pieno controllo” dell’aeroporto, riporta una fonte ufficiale del nuovo regime. Sarà necessario attendere per comprendere che tipo di ripercussioni avrà questa evoluzione, soprattutto in virtù del fatto che sono ancora molti i civili afghani (e non) che hanno collaborato con l’Occidente bloccati in Afghanistan. Soprattutto in virtù del fatto che gli Usa continuano a fare pressioni per garantire che le operazioni proseguano anche oltre il 31 agosto, seppur in modalità differente. Stando a quanto riportato fino ad ora, infatti, i talebani avrebbero promesso di consentire l’espatrio a tutti i cittadini stranieri e afghani con autorizzazione di viaggio. A confermarlo è direttamente il Dipartimento di Stato statunitense: “Abbiamo ricevuto assicurazioni dai talebani che tutti i cittadini stranieri e qualsiasi cittadino afghano con autorizzazione di viaggio dai nostri paesi saranno autorizzati a procedere in modo sicuro e ordinato verso i punti di partenza e viaggiare fuori dal paese“.
Da parte loro, i Paesi firmatari (tra cui l’Italia) si impegneranno a rilasciare i documenti di viaggio necessari a garantire l’espatrio. Sarà necessario comprendere, tuttavia, che volto assumeranno queste promesse nella realtà dei fatti: sono già diverse le testimonianze che parlano di ogni tentativo da parte dei talebani di bloccare e/o ostacolare l’approdo in aeroporto, una situazione che potrebbe peggiorare con il termine delle operazioni Usa. A tutto questo si aggiunga che l’occhio del giornalismo si restringe sempre di più, pressato nel perimetro dell’aeroporto di Kabul, un perimetro che potrebbe restringersi ulteriormente a breve.
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Di fronte a tutto questo, le reazioni dei principali Paesi occidentali mostrano i tanti volti di questa vicenda. Da un lato il dolore per una situazione evidentemente sfuggita di mano, dall’altro il tentativo di individuare una linea strategica in grado di porre nuovamente i Paesi occidentali in una posizione di forza nei confronti delle derive più estremistiche. E’ il sottosegretario agli Esteri britannico James Cleverly a mostrare il primo volto: è “impossibile” dire quanti afghani con diritto all’evacuazione siano rimasti bloccati in Afghanistan, dice a Sky News. Poi sottolinea: la “grandissima parte” dei cittadini britannici è riuscita a lasciare l’Afghanistan. Tuttavia, gli afghani che hanno collaborato con la Gran Bretagna e che sono rimasti bloccati in suolo afghano, “corrono il grave rischio di rappresaglie di talebani“. Parole che ripercorrono quanto affermato dolorosamente da Joe Biden qualche giorno fa in conferenza stampa, quando addirittura ha lasciato intendere: le autorità statunitensi non sanno con precisione quanti americani si trovano ancora sul suolo afghano.
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Dall’altro lato, però, la comunità internazionale inizia a muoversi per far rientrare l’emergenza su un piano diplomatico, anche e soprattutto attraverso un G20 a guida italiana. Il vertice è previsto per metà settembre, e rappresenterà una prova del fuoco anche per l’Ue, che dovrà presentarsi unita e credibile per trattare con le altre potenze mondiali. I presupposti perché questo avvenga sono, ovviamente, la presenza di un’agenda comune anche sul dossier Afghanistan. Ma non solo. Il vicepresidente della Commissione e alto rappresentate della politica estera dell’Ue, Josep Borrell, ha ribadito in un’intervista al Corriere: “Da questa esperienza dobbiamo tirare degli insegnamenti. Ognuno dei Paesi Ue presenti in Afghanistan si è mobilitato attorno all’aeroporto di Kabul in queste settimane. Hanno cooperato fra loro e hanno condiviso le capacità di trasporto. Ma come europei non siamo stati in grado di mandare seimila soldati attorno all’aeroporto per proteggere la zona. Gli americani ci sono riusciti, noi no”.
Per questo Borrell propone la “creazione di una Initial Entry Force europea che possa agire rapidamente nelle emergenze. La Ue deve essere in grado di intervenire per proteggere i propri interessi quando gli americani non vogliono essere coinvolti. La nostra First Entry Force dovrebbe essere composta di cinquemila soldati in grado di mobilitarsi a chiamata rapida“. Resta da capire che volto assumeranno queste proposte di fronte a un’alleanza Atlantica con ogni probabilità in via di ridefinizione.
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