L’autore dello stupro, un egiziano di 31 anni, era arrivato a Lampedusa a maggio e il 7 luglio lo avevano fotosegnalato a Milano con un software di riconoscimento facciale grazie al quale lo hanno poi identificato
Era sbarcato a Lampedusa tra il 10 e l’11 maggio Haitham Mahmoud Abdelshafi Ahmed Masoud, l’uomo che alcuni giorni fa in un canale, su un sentiero che la portava a lavoro, ha aggredito e violentato una 25enne italo-sudamericana che lavora in un’azienda esterna all’ospedale San Raffaele di Milano. La violenza è avvenuta lo scorso 9 agosto. L’uomo, 31 anni, egiziano, era su uno dei barconi giunti in Sicilia, in un periodo in cui sbarcavano oltre mille migranti in poche ore. L’uomo è stato fotosegnalato a Lampedusa e identificato con l’appellativo “Abdelshafi Haysem Mahmoud”. Il giovane dice di essere scappato dall’Egitto per sfuggire alle repressioni del governo egiziano e dice che intende chiedere asilo, come riporta Il Corriere della Sera.
Gli viene assegnato il codice identificativo “064BSVV”, una sorta di identità temporanea per i migranti. Ma di lui si perde ogni traccia dopo il periodo di isolamento anti Coronavirus e il trasferimento a Porto Empedocle. Masoud ha un numero di cellulare attivato il 25 maggio, come spiega ancora Il Corriere, a Palma di Montechiaro, in provincia di Agrigento da un egiziano 23enne. Forse l’uomo è arrivato in treno a Milano. Tuttavia, grazie al codice identificativo, il 7 luglio l’ufficio immigrazione di Milano lo identifica quando il giovane si presenta in questura per chiedere asilo. In quell’occasione viene fotosegnalato. Con quella foto, sarà poi identificato dopo lo stupro.
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Le indagini della polizia partono però da un’altra foto, quella del profilo whatsapp collegato al numero di cellulare che potrebbe essere dell’autore dello stupro del 9 agosto, un selfie scattato da Masoud di fronte al Duomo, in cui veste una maglietta nera. Il 24 agosto, mentre gli agenti già sospettano di lui e lo stanno tenendo sotto controllo, l’uomo torna all’ufficio immigrazione per concludere la richiesta di asilo. Mentre si trova in sala d’attesa, i poliziotti prelevano di nascosto una lattina e un mozzicone per mettere a confronto il Dna con le tracce rinvenuto sul luogo in cui è occorso lo stupro. In poche ore giunge la conferma che i due profili genetici coincidono.
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La sera stessa i pm dispongono l’ordine di cattura e gli agenti arrestano Masoud in una casa dormitorio in via Tartini, dove alloggia con altri egiziani. Sono 52 le pagine dell’atto di accusa dei pm, cui si aggiunge la testimonianza della vittima:«Mi sono sentita spingere nel fossato all’improvviso. Mi schiacciava il volto sul pavimento del canale, mi sentivo soffocare. Ho gridato, l’ho pregato di smettere per le mie due bambine. Quando dopo la violenza è fuggito avevo il terrore che tornasse».
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