“Tranquilla, non mi fa niente, è soltanto geloso” queste le parole di Vanessa Zappalà, l’ultima vittima dello stalking, un problema italiano. I giudici avrebbero potuto impedire la tragedia? Cosa prevede il nostro ordinamento?
Vanessa e Antonio si erano lasciati il dicembre scorso, dopo poco più di due anni, ma l’uomo non lo ha mai accettato. La pedinava, la minacciava e la picchiava. La ragazza, di soli 26 anni, era «terrorizzata» e aveva denunciato, con i suoi familiari, l’ex fidanzato per stalking. La Procura, all’inizio, aveva sottoposto Antonio agli arresti domiciliari. Il 12 giugno scorso, tuttavia, il Gip lo ha rimesso in libertà, imponendogli solo un divieto di avvicinamento. Il giudice afferma che non avrebbe potuto fare niente di diverso. Il divieto di avvicinamento, purtroppo, non è bastato quando armato di una pistola ha avvicinato la ragazza e le ha sparato contro sette colpi. La domanda che molti si pongono ora è se i giudici effettivamente non avrebbero potuto fare altro per tutelare la giovane ragazza. Nunzio Sarpietro, presidente dell’ufficio del Gip di Catania, ha affermato che l’unica misura efficace sarebbe stata il carcere. Sarpietro ha inoltre affermato che ci fossero elementi contrastanti come, tra gli altri, un riavvicinamento tra i due. Ecco quello che serve sapere sullo stalking, un problema italiano.
Gli interrogativi sull’operato dei giudici
Innanzitutto sarebbe impossibile sapere con certezza gli effetti dissuasivi degli arresti domiciliari sull’operato dell’assassino; certamente avrebbero complicato i suoi piani. In secondo luogo, il giudice, quando dispone i domiciliari, verificando la disponibilità presso la polizia giudiziaria, prescrive procedure di controllo come il braccialetto elettronico. Le uniche condizioni quindi, secondo l’art. 275 bis c.p.p., sono la disponibilità dei braccialetti e il parere del giudice riguardo la necessità di tali misure. Il braccialetto elettronico è uno strumento che viene applicato alla caviglia del soggetto destinato agli arresti domiciliari. Lo scopo, dunque, è garantire un livello di sorveglianza costante, allertando prontamente le forze dell’ordine non appena il soggetto abbandoni il proprio domicilio. Il presidente dell’ufficio del Giudice per le indagini preliminari ripropone una soluzione alternativa a quella appena descritta. “Un braccialetto elettronico ‘out’ (un braccialetto da indossare al di fuori degli arresti domiciliari) per l’indagato che segnali la sua presenza e, contemporaneamente, un dispositivo per la vittima che emetta segnali acustici e luminosi quando lo stalker viola la distanza impostagli dal provvedimento di non avvicinamento”. Tale soluzione sarebbe uno strumento utile da aggiungere a quelli disponibili oggi ma non spiega perché non si sia ricorsi ai domiciliari con braccialetto elettronico. Arriviamo, così, al secondo elemento riportato da Sarpietro: elementi contrastanti nel fascicolo come il riavvicinamento tra i due. Cosa sono i periodi di riavvicinamento e perché sono molto comuni nei casi di stalking? La ragione principale è che i soggetti coinvolti sono solitamente legati da una relazione e necessitano, quindi, di ripristinare un rapporto sociale genuino, non conflittuale. La Corte di Cassazione si è espressa (sentenza 46165/2019) ritenendo ininfluente sulla sussistenza dell’elemento oggettivo del reato, il verificarsi di momenti transitori di pacificazione. In pratica, i periodi di riavvicinamento non fanno venir meno il reato di stalking.
L’elemento psicologico e l’aggravante della relazione affettiva
L’art. 612 bis del codice penale punisce con la reclusione da sei mesi a cinque anni chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o paura, ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita. Con l’introduzione del reato nel 2009, l’intento è stato fornire tutela rispetto a tutti quei comportamenti che venivano inquadrati da altri e meno gravi delitti. I singoli delitti (es. minaccia) erano spesso incompleti e non tutelavano la libertà individuale e la salute psichica delle vittime. Il delitto di atti persecutori, infatti, è da ritenersi plurioffensivo (colpisce più beni giuridici). Esso lede non solo la libertà morale della persona, ma, anche, la tranquillità della stessa e la “serenità psicologica”.
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Una delle aggravanti previste per questo reato si configura nello sfortunato caso di Catania. La pena, infatti, è aumentata se il fatto è commesso dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva. Tale aggravante eventualmente poteva aggiungersi agli elementi necessari a procedere con i domiciliari di Antonio. Purtroppo, senza esaminare il fascicolo giudiziario, è impossibile una valutazione.
Stalking, un problema italiano: i numeri
“È difficile controllare tutti gli stalker, emettiamo 5-6 ordinanze restrittive a settimana”, la frase di Sarpietro è perfettamente in linea con la drammatica situazione italiana. Secondo i dati del Viminale, da agosto 2020 al 31 luglio 2021 ci sono state 15.989 denunce per stalking. Il 74% di queste denunce hanno come vittime delle donne. Questo dato, insieme ai 105 femminicidi, di cui 88 in ambito familiare e 62 da partner/ex-partner, fa sorgere serie preoccupazioni per la sicurezza in Italia. L’ultimo caso di Catania ha sicuramente riacceso l’argomento e suscitato reazioni da parte della politica. “L’uccisione di Vanessa Zappalà è una sconfitta dello Stato, come tutti i casi di femminicidio annunciato. È inaccettabile che non funzionino le misure di protezione, dopo una denuncia deve essere un imperativo categorico per tutti proteggere la donna” ha affermato Valeria Valente, presidente della Commissione d’inchiesta sul Femminicidio e la violenza di genere. “L’inefficacia delle misure di protezione – prosegue Valente – impedisce di interrompere la spirale di violenza e rende anche difficile chiedere poi alle donne di denunciare. Rafforziamo quindi tutte le misure: dall’uso del braccialetto elettronico alla possibilità di arresto in flagranza per chi viola misure di protezione (una norma appena approvata alla Camera per emendamento alla riforma del Processo penale), ma anche il fermo per chi non è colto in flagranza, che vogliamo introdurre”.
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Auspicando futuri progressi nella tutela delle vittime, si ricorda il numero verde contro la violenza e lo stalking (il 1522). Messo a disposizione dal Dipartimento per le Pari Opportunità, il numero è sempre attivo, anche ora, ed è utilizzabile 24 ore su 24.