La drammatica crisi in atto in Afghanistan sta scuotendo tutta la comunità internazionale che cerca, in maniera disomogenea, di arginare le perdite, soprattutto in vista di possibili altri attacchi dell’Isis. Di fronte a un’evacuazione così drammatica, di fronte a 13 soldati americani morti nella giornata di ieri, tutti gli occhi sulla gestione del ritiro delle truppe dall’Afghanistan, seguita dal presidente degli Stati Uniti Joe Biden. Quali sono gli effetti della crisi afghana nella politica statunitense?
“Siamo tutti felici della ritrovata collaborazione fra Stati Uniti e Unione europea con il presidente Biden, ma lui è almeno il terzo presidente americano di seguito a scegliere i propri impegni geopolitici in base a priorità strettamente nazionali. Non lo fa certo sulla base di ambizioni comuni agli alleati occidentali. Con Biden un’agenda comune esiste, però le sue scelte nascono in America e per l’America“. Sono queste le parole dure con cui il sottosegretario agli Affari Europei Enzo Amendola bolla la gestione americana della ritirata in Afghanistan, mostrando il volto di una tensione che si fa sempre più palpabile, anche all’interno dell’alleanza Atlantica. La situazione a Kabul, ma in generale in Afghanistan, è tale da far vacillare anche quel rispettoso aplomb democratico che di solito si riserva agli alleati.
Le immagini della calca in attesa per giorni nel canale fognario dell’aeroporto, di collaboratori e collaboratrici che aspettano un cenno da parte dei militari, le notizie su un numero imprecisato di americani nel territorio afghano ancora non raggiungibili, le parole di diverse nazioni attive nei ponti aerei che confessano di non poter salvare tutti: sono questi gli effetti tangibili degli errori strategici degli Stati Uniti nel concordare (gli accordi di Doha sono stati firmati da Trump) e nell’organizzare il ritiro (in questo caso il dito punta verso Biden). A tutto questo si aggiungono, ora, i due attentati kamikaze rivendicati da Isis-K, che hanno causato la morte di 13 militari americani. Il bilancio al momento parla almeno di 90 morti e 158 feriti. Per non parlare, infine, degli afghani che hanno collaborato con i Paesi occidentali e che ora si trovano in serio pericolo di vita: secondo le stime delle organizzazioni di rifugiati, sono circa 300mila.
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Biden sui terroristi in Afghanistan: “Vi daremo la caccia”
Dopo gli attacchi, ieri sera Biden ha tenuto un discorso alla Casa Bianca, celebrando i soldati morti come “eroi” impegnati “in una missione pericolosa in maniera disinteressata per salvare le vite degli altri“. Poi si sarebbe rivolto agli autori degli attentati, affermando: “Non perdoneremo e non dimenticheremo, vi troveremo e ve la faremo pagare, difenderò la mia gente con tutti i mezzi che ho“, gli Stati Uniti “risponderanno con forza e precisione a tempo debito“. Poi ancora: “Ho ordinato ai miei comandanti di sviluppare un piano operativo per colpire gli asset chiave dell’Isis, le loro leadership e le basi. Sceglieremo noi il posto e il tempo”.
Il problema, però, riguarderà anche la reale percorribilità di un’operazione di questo tipo. Gli Stati Uniti hanno infatti abbandonato tutte le basi di intelligence sul territorio, la loro capacità di raccogliere informazioni in Afghanistan è ora notevolmente ridotta e, oltretutto, una risposta forte da parte degli Usa rischia di incrinare primi, precari, rapporti con i talebani necessari per aprire corridoi umanitari anche dopo il 31 agosto. Biden si è poi assunto la responsabilità diretta di “tutto quello che è accaduto”, ma specificando che le truppe americane andavano ritirate: “Avevo soltanto un’alternativa: mandare migliaia di altri soldati di nuovo in Afghanistan”.
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Gli errori della gestione in Afghanistan: il ruolo di Biden
Eppure, potevano essere scelte modalità diverse, dicono gli esperti. Modalità che non sono state seguite o per un errore di calcolo dell’intelligence, o per l’incapacità di Joe Biden di interpretare correttamente quanto riferito dagli 007. Sarà la storia a svelare i retroscena. Lo ribadisce anche Ian Bremmer, politologo e fondatore del Centro Studi Eurasia Group, che al Corriere della Sera sottolinea: “Gli americani evidentemente pensavano che il governo afghano sarebbe rimasto in piedi e che la Difesa afghana avrebbe combattuto. Quando hanno lasciato Bagram, l‘intelligence parlava di un governo che sarebbe durato due o tre anni. Ora, se l’intelligence dice questo, ma ammette che potrebbe essere molto peggio, e però tutti sanno che Biden vuole andarsene a ogni costo, è plausibile che le persone che lo consigliano possano aver edulcorato i rapporti. O semplicemente è stato lui a non voler ascoltare. Certo ora ci saranno molte dita puntate”.
Poi, secondo Bremmer, ci sono gli errori strategici puntuali, come l’abbandono della base aerea di Bagram a luglio, che ora sarebbe risultata fondamentale per controllare in sicurezza l’evacuazione. A questo si sono aggiunti, probabilmente per errori di calcolo, altre mancanze: “Mancanza di pianificazione, informazioni errate, unilateralismo, una confusa strategia di comunicazione. Il fallimento della guerra non è colpa di Biden, i suoi predecessori hanno una responsabilità maggiore, ma dato che è lui che sta gestendo così male questa evacuazione e lo sta facendo da solo, invece di farlo con gli alleati, questo sarà un grosso problema per lui”.
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Afghanistan, Biden sotto attacco dei repubblicani
Ma i problemi politici e diplomatici non riguardano solo la politica estera: in casa statunitense, infatti, è già partito il massiccio attacco dei repubblicani ai danni di Biden. E alcune voci riportate da Fox News iniziano già a chiedere l’impeachment o dimissioni immediate. “A questo punto il presidente si deve dimettere“, avrebbe affermato il deputato repubblicano Mike Garcia, rompendo il silenzio su ciò che diversi esponenti repubblicani pensano. A chiedere le dimissioni è anche l’ex ambasciatrice Usa all’Onu, Nikki Haley, data come favorita alle presidenziali 2024. Segue l’ipotesi impeachment la senatrice Lindsay Graham, repubblicana in vista. Stando a quanto ricordato da Ansa, l’ipotesi è perseguibile solo nel caso in cui i repubblicani prendessero il controllo di una delle due camere del Congresso, nelle elezioni di metà mandato del prossimo anno.
Le proposte lanciate dagli esponenti repubblicani in questi giorni difficilmente avranno seguito, soprattutto in un periodo così complesso per gli Stati Uniti, ma danno il polso della situazione nella politica interna americana. In un quadro di questo tipo, non poteva mancare anche l’affondo dell’ex presidente Donald Trump, che dopo gli attacchi a Kabul ha rilanciato: “Joe Biden dovrebbe dimettersi, il che non dovrebbe essere un grosso problema dal momento che non è stato eletto legittimamente dal principio“. E’ ormai chiaro che la crisi afghana è un qualcosa di molto più vicino a noi di quanto crediamo: come ogni grande evento storico, riecheggerà in luoghi diversi, per molto tempo.