Vaia: “Terza dose non serve, prima vaccinare 85% della popolazione”

Vaia: “Terza dose non serve, prima vaccinare 85% della popolazione”

Francesco Vaia, direttore sanitario dell'Istituto nazionale malattie infettive dello Spallanzani - meteoweek.com

Il tema relativo alla somministrazione della terza dose del vaccino contro il Covid-19 continua ad essere combattuto. Gran Bretagna e Francia si sono allineate con Israele e tra qualche settimana daranno inizio al richiamo, mentre in Italia la questione è ancora al vaglio del Governo. Francesco Vaia, direttore sanitario dell’Istituto nazionale malattie infettive dello Spallanzani, ritiene che le priorità attualmente siano altre.

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Francesco Vaia, direttore sanitario dell’Istituto nazionale malattie infettive dello Spallanzani – meteoweek.com

La terza dose del vaccino contro il Covid-19 è necessaria? L’Organizzazione mondiale della sanità ritiene di no, dato che la maggior parte dei paesi poveri non sono stati ancora immunizzati. Alcuni Stati – Israele in primis e adesso anche Gran Bretagna e Francia – nonostante ciò hanno deciso che somministreranno il richiamo alla popolazione. Per l’Europa, tuttavia, dovrà prima arrivare l’autorizzazione dell’Ema. La questione viene da tempo discussa anche in Italia, seppure non si sia arrivati ad una decisione definitiva. Francesco Vaia, direttore sanitario dell’Istituto nazionale malattie infettive dello Spallanzani, nel corso di una intervista concessa a Il Tempo, ha ammesso di non ritenere prioritaria tale azione. L’obiettivo, piuttosto, deve essere quello di arrivare all’85% di vaccinati affinché possa svilupparsi l’immunità di gregge.

Vaia sulla terza dose

Non è il momento di parlare di terza dose. Non è ciò che serve adesso”. Così esordisce Francesco Vaia in merito al richiamo del vaccino contro il Covid-19 per coloro che hanno completato il ciclo vaccinale circa otto mesi fa. “Prima dobbiamo spingere a fondo sulla campagna vaccinale. Abbiamo raggiunto una buona copertura a livello nazionale, il 67,25%. Ma, a mio parere, la soglia a cui dobbiamo arrivare è l’85%”. Un obiettivo che, a fronte di scetticismi vari, potrebbe essere difficile da raggiungere. Soltanto attraverso esso, tuttavia, sarebbe possibile arginare la circolazione del virus nel Paese e dunque la nascita di nuove varianti più resistenti.

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Gli operatori sanitari sono stati i primi ad essere stati vaccinati – meteoweek.com

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Il direttore sanitario dell’Istituto nazionale malattie infettive dello Spallanzani, a sostegno della sua tesi, ha spiegato inoltre che coloro che sono stati vaccinati all’inizio della campagna potrebbero ancora essere in parte immuni. “E’ abbastanza fisiologico che con il passare dei mesi si osservi un calo degli anticorpi. Ma è importante spiegare una cosa. Quando valutiamo i vaccini non dobbiamo considerare solo la risposta anticorpale. Ci sono anche la capacità neutralizzante, la memoria cellulare, i linfociti T. Insomma, abbiamo una memoria immunologica capace di rispondere ad un attacco del virus. L’abbassamento degli anticorpi non significa che la mia risposta immunologica sia inferiore”. E, a tal proposito, attacca le multinazionali farmaceutiche: “Quando arriveremo ad introdurre un altro richiamo, ciò dovrà avvenire per esigenze scientifiche, non per interessi industriali o legati al prezzo dei vaccini”.

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Da chiarire, inoltre, quale potrebbe essere l’efficacia della terza dose di un vaccino creato per un virus che attualmente non è più in circolazione. Al momento, infatti, a diffondersi è la variante Delta del Covid-19. Da qui nasce l’esigenza di eventualmente modificare i sieri. “Se la causa principale della ripresa dei contagi rappresentata dalla persistenza di un’ampia fascia di popolazione non vaccinata e, in qualche misura, dall’emergere della variante Delta, non è chiaro quale potrebbe essere l’impatto di fare un richiamo con il medesimo vaccino a persone già vaccinate”. È per questa ragione che Francesco Vaia si schiera dalla parte dell’Organizzazione mondiale della sanità: “Adesso dobbiamo pensare prima a portare i vaccini nei paesi più poveri. Non è un discorso etico-moralistico, ma di sanità pubblica. Perché le persone che vivono in questi paesi si muovono, altrimenti dovremmo chiudere le frontiere”, ha concluso.