Cuba controllerà internet e social media mediante più severi accertamenti sulle attività online. Questa settimana si introdurranno nuovi divieti, compreso quello di pubblicazioni che potrebbero danneggiare “il prestigio del paese”. Molti cittadini e attivisti internazionali hanno criticato la risposta del governo alle proteste dello scorso mese.
Nel mese di luglio, migliaia di persone sono scese nelle piazze di Cuba per partecipare a proteste antigovernative senza precedenti. La crisi economica ed il Covid-19 hanno provocato frustrazione e su internet iniziavano a circolare frasi come “abbasso la dittatura” e “vogliamo la libertà”. Ad un mese di distanza da questi eventi, pubblicato sulla gazzetta ufficiale cubana martedì, esce il decreto 35, la risposta cubana alle proteste organizzate online. Il decreto vieta la diffusione di notizie false e contenuti ritenuti offensivi o che “incitano a mobilitazioni o altri atti che turbano l’ordine pubblico”. Fornisce anche un canale per i cubani per informare su potenziali contravvenzioni. Coloro che hanno tentato di “sovvertire l’ordine costituzionale” saranno considerati cyberterroristi ma non vengono precisate quali sarebbero le pene. “Il nostro decreto 35 va contro la disinformazione e le bugie informatiche”, ha detto il presidente Miguel Diaz-Canel. Va ricordato che il presidente ha dato la colpa delle proteste dell’11 luglio a una campagna online di controrivoluzionari sostenuti dagli USA. Che si vogli credere o meno alla tesi di Diaz-Canel, è indubbio che le proteste di Cuba abbiano colto di sorpresa il governo.
Anche prima del decreto 35, la libertà di stampa a Cuba non era nelle condizioni migliori. All’inizio del mese di luglio, il gruppo Reporters sans frontières ha nominato il presidente cubano come uno dei “predatori della libertà di stampa” del 2021. Gli attivisti hanno definito Cuba “Il peggior violatore della libertà dei media in America Latina”. Attivisti e cittadini di Cuba hanno paragonato le nuove misure al totalitarismo di “1984” di George Orwell. La principale preoccupazione è che le definizioni vaghe di ciò che costituisce una violazione permetterebbe una censura arbitraria. Internet, d’altronde, è un fenomeno nuovo per Cuba e, dalla sua introduzione due anni fa non era stato ancora capito il suo potenziale. Piattaforme come Facebook e WhatsApp hanno permesso ai cubani di condividere lamentele e mobilitarsi in un paese dove gli spazi pubblici sono strettamente controllati. Lo stato aveva già il monopolio sull’accesso a internet ma dopo le proteste dell’11 luglio il controllo è notevolmente aumentato.
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“Cuba sta formalizzando la repressione digitale”, ha detto Erika Guevara-Rosas, direttore americano di Amnesty International. In passato, il governo cubano ha controllato coloro che usavano parabole satellitari clandestine e decoder per captare i segnali televisivi americani. Adesso i funzionari di Cuba si stanno attrezzando per fronteggiare la rivoluzione digitale.
Il Dipartimento di Stato degli USA ha detto martedì che Cuba “non dovrebbe punire coloro che dicono la verità”. La domanda che precede queste considerazioni, però, è se Cuba riuscirà a far rispettare questa legge. Eloy Viera, un legale cubano con sede in Canada, ha detto che il decreto 35 non riuscirà nell’intento di mandare persone in prigione. I critici del governo affronteranno multe ma misure simili non hanno funzionato in passato e probabilmente non funzioneranno in futuro. Non tutti, però, sono d’accordo con Viera. Un utente ha chiesto chi deciderà cosa è una fake news. Un altro si è chiesto “quando la capitale di Cuba è diventata Pyongyang”. Molti hanno insistito che non sarebbero rimasti in silenzio.
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Alle persone che leggono il regolamento è diventato chiaro che il solo postare sulla vita quotidiana a Cuba potrebbe metterli nei guai. “Perché ora dire che devo bere acqua zuccherata per colazione perché non posso comprare il latte nel mio paese è un crimine e posso andare in prigione”, ha detto uno youtuber cubano noto come Carly Love.
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