In Afghanistan proseguono le manovre di consolidamento del nuovo governo dei talebani: “Ci impegniamo per i diritti delle donne all’interno della Sharia. Lavoreranno fianco a fianco con noi. Non ci saranno discriminazioni“, dice il portavoce dei talebani Zabihullah Mujahid in conferenza stampa. Intanto, però, i racconti delle Onlus e delle organizzazioni umanitarie sul territorio riportano un clima di terrore nel quale si bruciano archivi e le donne preferiscono restare chiuse in casa per evitare violenze, morte e ritorsioni. Nella discrepanza tra queste testimonianze e le parole moderate dei talebani in conferenza stampa, sta tutto il comprensibile scetticismo per il volto rispettabile che i talebani stanno cercando di presentare.
“Ci impegniamo per i diritti delle donne all’interno della Sharia. Lavoreranno fianco a fianco con noi. Non ci saranno discriminazioni”: sono le parole del portavoce dei talebani Zabihullah Mujahid pronunciate in conferenza stampa, parole che hanno stupito la comunità internazionale per l’ostentata moderazione. Poi, dietro l’angolo, la specificazione: “L’Emirato Islamico non vuole che le donne siano vittime. Dovrebbero far parte del governo, secondo i dettami della Sharia“, ha specificato Enamullah Samangani, membro della commissione Cultura degli insorti, citato dall’Associated Press. Il gioco è abbastanza chiaro: i talebani del 2021 non sono gli stessi di vent’anni fa, sono una nuova generazione che vuole dialogare con la stampa (anche e soprattutto attraverso Twitter), una generazione che vuole creare una nuova immagine moderata per ottenere una legittimazione in ambito internazionale e – di conseguenza – una strada spianata per l’affermazione del proprio governo.
Ma il doppio volto è presto smascherato, anche all’interno della conferenza stampa, e si nasconde dietro le ambigue parole “le donne dovrebbero far parte del governo, secondo i dettami della Sharia“. Quali sono i dettami della Sharia seguiti dai talebani? Qualche indizio ce lo forniscono le reazioni non solo degli afghani in aeroporto, legati agli aerei in partenza per sfuggire con ogni mezzo al terrore talebano. Qualche indizio ce lo offrono anche le organizzazioni e le onlus presenti sul territorio, che narrano di archivi bruciati, donne chiuse in casa, violenze e paura.
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A fornire un quadro limpido della situazione è stata innanzitutto Evelyn Regner, presidente della commissione per i diritti delle donne e l’uguaglianza di genere del parlamento europeo, che avrebbe già ribadito: “Ora che i talebani hanno preso il controllo di Kabul, è iniziato un nuovo regno del terrore. Per le donne e le ragazze afghane, questo significa oppressione sistematica e brutale in tutti gli aspetti della vita nelle aree controllate dai talebani, le università femminili sono state chiuse, negano alle ragazze l’accesso all’istruzione e le donne vengono vendute come schiave del sesso“. Si tratta di parole fondate, purtroppo, sui primi segnali di terrore. E ad essere in pericolo sono soprattutto le realtà e le persone legate all’attivismo: vicino Mazar-i Sharif nei giorni scorsi – ricorda Domani – sono state uccise 15 donne che lavoravano per Ong straniere per i diritti delle donne.
Le parole di Flavia Mariani di Nova Onlus, riportate su Domani, dissipano ogni dubbio sul reale volto dei talebani: “Il nostro staff, composto soprattutto da donne, è nascosto. A essere in grave pericolo sono le giovani donne e quelle sole che potrebbero essere rapite come bottino di guerra. Rischiano stupri, violenze e la morte. I raid armati porta a porta sono incessanti, i talebani cercano di capire chi ha collaborato con Ong e associazioni. Di donne ormai per le strade di Kabul non ce n’è più”. Confermano da Nova Onlus, dove dicono di aver bruciato gli archivi e di non potersi fidare del volto moderato assunto dai talebani in conferenza stampa, smentito già dalla compilazione di liste di donne non sposate o appartenenti a minoranze.
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Per questo motivo le associazioni già presenti sul territorio stanno cercando di attivare corridoi umanitari per portare in salvo quante più persone possibile. E’ il progetto e l’intenzione della Fondazione Pangea Onlus, associazione presente sul territorio afghano da 18 anni per l’emancipazione delle donne afghane. “Stiamo cercando di creare un piccolo corridoio umanitario per salvare le nostre collaboratrici in Afghanistan e non solo. Donne che hanno sempre lavorato per i diritti e l’emancipazione delle donne e che oggi sono finite nel mirino dei talebani che stanno facendo rastrellamenti casa per casa per trovare tutte le persone che hanno collaborato con gli occidentali”, dice il suo presidente Luca Lo Presti. I rischi sono sempre gli stessi, dietro le mura di casa (ma anche dentro) persiste l’incubo di stupri e uccisioni.
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“Abbiamo a Kabul 20 ragazze afghane che facevano parte del nostro staff e che per 18 anni hanno lavorato per i diritti delle donne e che in questo momento sono barricate in casa perché i talebani stanno girano casa per casa alla ricerca di persone che abbia collaborato con gli occidentali“, spiega ad Adnkronos/Labitalia Silvia Redigolo di Pangea. Tutti, e soprattutto tutte, restano in attesa di comprendere che tipo di piega prenderà la situazione. “Spero di essere smentita, ma al momento dico quello che mi dicono le mie colleghe a Kabul e cioè che passano le giornate chiuse in casa, che hanno paura di sentire bussare alla loro porta perché sanno che per loro sarebbe la morte”. E la situazione potrebbe peggiorare di ora in ora: “Le visite casa per casa dei talebani sono già iniziate, e tra poco inizieranno le denunce dei vicini e degli amici, perché ognuno in quella circostanza cerca di salvarsi la pelle“.
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