I talebani del politicamente corretto hanno dunque lasciato campo libero su Twitter a Suhail Shaheen e Zabihullah Mujahid portavoce dei talebani afgani. Quelli veri, direbbe qualcuno. Ma sono drammaticamente reali entrambi e, tra simili, si riconoscono.
Quelli che sono entrati in armi a Kabul e, con ancora le armi in pugno, hanno voluto mostrarsi nelle prime immagini che certificavano la loro presa del potere. I nuovi padroni dell’Afghanistan sanno che i talebani del politicamente corretto vanno ossequiati con la forma, la pura apparenza. Dopo ti lasceranno fare quello che vuoi. Il problema sono le parole, e se usi quelle giuste, se ti genufletti ai loro altari vuoti sì, i talebani dei social non useranno le armi. Potrai cinguettare come un’anima candida, su Twitter, anche se un’anima non l’hai mai avuta, anche se parli di Sharia, se hanno lapidato le donne nei villaggi e poche ore prima i tuoi sgherri hanno mostrato per le strade il corpo decapitato di chi osava fare ironia su di te: all’uccellino azzurro questo non interessa.
Per il pactum sceleris è sufficiente che le parole siano aggraziate, anche se le mani sono scure della terra dove hanno raccolto le pietre. Non interessa la corsa disperata, in migliaia, all’aeroporto, in cerca di un volo che li porti lontano, a qualsiasi costo, da quel cinguettio. Un linguaggio a misura del politicamente corretto ha assicurato a “tutti i diplomatici, ambasciate, consolati e operatori di beneficenza che non verrà creato alcun problema e verrà fornito loro un ambiente sicuro, Inshallah”. Erano così rassicurati, gli afgani, che alcuni di loro hanno rischiato di volare via da un aereo che stava per lasciare il suolo, e nulla li ha convinti a rinunciare. E sono volati via davvero, cadendo dalle ruote a cui si erano stretti, mentre la pista diventava più piccola, sotto di loro. Li abbiamo visti nei loro ultimi istanti: punti neri che si separavano dalla silhouette degli aerei, come sacchi di viveri gettati alla folla. Ma non erano aiuti, erano corpi morti o quasi, che poco prima avevano usato gli ultimi istanti di vita per chiedere aiuto.
Anche questi giorni sono volati via veloci e possiamo esserne certi o quasi: nei prossimi mesi, e anni, il vittimismo ingordo, ricattatorio e ipocrita di Me Too fingerà di non vedere il martirio delle donne afgane. Non ci saranno Femen a protestare con la loro blasfemia demente, non ci saranno Pride a Kabul: solo burqa, Sharia, lapidazione e silenzio. Shaheen prepara il terreno: parla con quella quella libertà che fu negata a Donald Trump perchè “nessun account è al di sopra delle regole e nessun account può usare il social per incitare alla violenza”. La violenza puoi farla, ma non mostrarla.
E non importa se fai violenza alla verità. Non importa sei stai per trasformare l’Afghanistan nel porto franco di Al Qaeda e gentaglia simile. Il portavoce dei talebani può cinguettare. Libertà di parola per l’ayatollah Ali Khamenei che odia gli Usa quanto i talebani. Il partito comunista cinese può raccontare favole sul Covid che ha devastato il mondo come l’Afghanistan si prepara ad esserlo per mano dei talebani. Libertà di parola per Nicolás Maduro che racconta favole, anche lui, mentre altri disperati muoiono di fame.
Tutti possono cinguettare in pace, la loro pace, sebbene siano in armi e non esiterebbero due volte a tagliare la gola a qualsiasi verità se aggiungesse un’oncia al loro potere. E noi dall’altra parte del mondo ad applaudire chi si inginocchia su un prato verde, non si sa bene per cosa. Ma è questa l’epoca dove si fa guerra alle desinenze della parole, non alla fame, dove ti hanno tolto i diritti in cambio del politicamente corretto, dove tutto è confuso e deve continuare ad esserlo perchè la confusione è un affare, un affare spettrale: accade quando gente in fuga, Sharia e morte sono il prezzo da pagare per il potere. Un potere di cui anche Twitter si compiace. Va bene tutto, per loro, purchè le parole siano corrette. Mani sporche e parole pulite.