Afghanistan: per Biden “non eravamo lì per costruire una nazione”

Il presidente degli Stati Uniti, nel corso di un atteso intervento, spiega le motivazioni del ritiro entrando nel merito di una scelta politica delicata e storica. Ma ci sono anche le responsabilità di Donald Trump.

“La nostra missione in Afghanistan non è mai stata pensata per costruire una nazione: l’obiettivo, quando 20 anni fa, dopo l’11 settembre, iniziò questa missione, era evitare che l’Afghanistan fosse la base per altri attacchi terroristici in America.L’obiettivo era riuscire a fermare chi ci aveva attaccati”. Joe Biden interviene – finalmente – commentando il crollo del governo afghano e la vittoria dei Talebani e cancella un ventennio di politica estera statunitense tendando di giustificare una sconfitta clamorosa e storica. “Sleepy Joe” prova a correre ai ripari, ma la toppa forse è peggiore del buco: sostenere che gli Stati Uniti, quando hanno invaso l’Afghanistan e poi l’Iraq, non avessero in mente di imporre la loro visione politica e creare dei governi “democratici” è evidentemente una distorsione della storia.

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Più onesta la seconda parte dell’analisi, che spiega anche la dinamica dei fatti e delle scelte: “Quando ho assunto l’incarico ho ereditato un accordo che il presidente Trump aveva negoziato con i Talebani”ha spiegato il presidente Biden ai giornalisti che assistevano alla conferenza stampa. “In base a questo accordo, le forze americane avrebbero dovuto ritirarsi entro il primo maggio, appena tre mesi dopo il mio insediamento: la scelta che dovevo fare come presidente era o di seguire quell’accordo o di essere pronto a tornare a combattere contro i Talebani”. Secondo Biden, dunque, le scelte che aveva a disposizione erano sostanzialmente due: dare seguito agli accordi stipulati dal suo predecessore e completare il ritiro, oppure decidere di riprendere le operazioni contro i Talebani mandando altri soldati ed investendo altri soldi.

Ovviamente il presidente degli Stati Uniti ha costruito una narrazione buttando lo sguardo anche sulle elezioni di Mid-Term e badando al consenso elettorale: “Sono il presidente degli Stati Uniti, quindi alla fine è mia la responsabilità. Sono profondamente rattristato per i fatti che dobbiamo affrontare ma non provo rammarico per la mia decisione perché è sbagliato ordinare alle truppe americane di combattere e morire quando le stesse truppe dell’Afghanistan non lo fanno. Non chiederò alle forze armate di combattere una guerra civile senza fine. Non è nel nostro interesse, non lo chiedono gli americani e non lo meritano le nostre truppe”.

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La verità – che Biden non dice – è che il governo afghano e l’Afghanistan stesso, così come l’Iraq, sono entità ormai solo di nome: invasi, devastati, eterodiretti politicamente non hanno la forza di autodeterminarsi e di autogestirsi. Quando Biden fa riferimento all’esercito afghano “addestrato ed armato” parla di una entità posticcia, costruita a tavolino dagli stessi americani e dai loro alleati ma distante dalla consapevolezza di essere una forza armata di uno stato sovrano e di un popolo. Esattamente come capitò in Iraq, dove l’esercito nazionale – anche lui addestrato ed armato – crollò anche lui in fretta sotto i colpi dei miliziani dello Stato Islamico con i pick up della Toyota e le scarpe da ginnastica. La guerra in Afghanistan non interessava più a nessuno ed era solo un costo: questa è la verità. Sono passati venti anni dall’11 settembre, Bin Laden è morto, il terrorismo islamico è stato ridimensionato ed è geograficamente localizzato altrove. Adesso sull’agenda degli Stati Uniti c’è la Cina, la Russia, l’Iran. Di quel che avviene in Afghanistan tutto sommato importa relativamente: con buona pace di chi ci vive e delle promesse che in qualche modo erano state loro fatte.

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