Emmanuel Abayisenga è attualmente rinchiuso in un ospedale psichiatrico. Il profugo ruandese di 40 anni la mattina scorsa, in Francia, ha ucciso il prete che da anni lo ospitava nella sua congregazione. Un anno fa aveva dato fuoco alla cattedrale di Nantes, dove aiutava a servire messa. Gli inquirenti stanno indagando sulla sua vita privata al fine di ricostruire quale sia stato il percorso che lo ha portato alle attuali condizioni psico-fisiche e di comprendere se la tragedia potesse essere evitata.
Una vita complessa, tra religione e «diavoli». La polizia francese, in queste ore, sta scavando a fondo nel passato di Emmanuel Abayisenga, il profugo ruandese che lunedì ha confessato di essere l’autore dell’omicidio di padre Olivier Maire in Vandea. L’uomo era già noto alle forze dell’ordine, in quanto lo scorso anno aveva dato alle fiamme la cattedrale di Nantes. Da quel momento era stato messo sotto controllo giudiziario. I primi dieci mesi dopo l’incendio li aveva trascorsi in detenzione provvisoria, poi era stato trasferito alla congregazione religiosa dei Monfortains, a Saint-Laurent-sur-Sèvre. Le sue condizioni psico-fisiche, tuttavia, erano sempre state visibilmente compromesse.
Ad essersene accorto era stato proprio il prete della comunità, padre Maire, il quale a fine giugno aveva segnalato al procuratore Yannick Le Goater che il quarantenne non stava bene e che sosteneva di volere abbandonare la Francia. È per questa ragione che l’uomo era stato trasferito in un reparto psichiatrico, dove ha trascorso quattro settimane. Dieci giorni prima dell’omicidio, il 29 luglio, Emmanuel Abayisenga era tornato in libertà vigilata e due volte a settimana era obbligato a recarsi alla gendarmeria di Monfortains per firmare, secondo i termini. Lo scorso 9 agosto, infine, l’assassinio del missionario. Il corpo della vittima è stato ritrovato nell’appartamento della congregazione religiosa San Luigi Maria di Guignion da Monfort, in Vandea, in cui viveva e dove aveva ospitato il killer stesso.
Emmanuel Abayisenga: la vita del killer
A ricostruire la vita di Emmanuel Abayisenga è il Corriere della Sera. L’assassino di padre Olivier Maire è nato il 1° gennaio del 1981 a Muhanga, in Ruanda. Da adolescente ha vissuto la guerra civile locale. La famiglia, profondamente cattolica, era formata dal padre, un istitutore, e dalla madre, dedita alla rigida educazione dei dodici figli. Tutti hanno lasciato la patria nel 1994, quando Paul Kagame, attuale presidente del Fronte Patriottico, è salito al potere al termine di un duro conflitto. Il capostipite temeva ripercussioni. Ciò avvenne proprio al rientro, ovvero due anni dopo. L’uomo fu ucciso quasi subito e processato post mortem insieme allo zio – condannato all’ergastolo – in quanto presunti partecipanti ad un genocidio.
LEGGI ANCHE -> Saviano, la mafia, la famiglia: quando la provocazione diventa priva di senso
Emmanuel Abayisenga arriva in Francia nel 2012. Il profugo chiede ripetutamente asilo politico, ma le richieste vengono tutte rifiutate. All’uomo viene più volte ordinato di lasciare il paese, ma presenta ricorsi su ricorsi. A dargli ospitalità, piuttosto, sono le comunità religiose, dove si impegna come volontario e frequenta anche un corso per diventare «animatore pastorale». Nel 2016, nel corso di un pellegrinaggio a Roma con una delegazione, incontra Papa Francesco. Nel suo percorso di fede lontano dalla Ruanda c’è sempre padre Olivier Maire, che gli permette anche di ottenere il titolo di “sagrestano volontario”, l’incarico di chiudere le porte della chiesa il venerdì sera e di partecipare alla celebrazione della messa la domenica sera, nella cattedrale di Nantes, a cui darà fuoco nel luglio 2020.
LEGGI ANCHE -> Si barrica nel suo appartamento e si butta dal quinto piano: colpisce un vigile del fuoco
È complesso comprendere cosa si celi dietro alla personalità instabile di Emmanuel Abayisenga. L’uomo stesso, a seguito dell’arresto, ha raccontato di un trauma vissuto nel 2018. Sarebbe stato aggredito da un individuo sul portone della cattedrale e, nella caduta, avrebbe perso gli occhiali e l’apparecchio acustico che gli permette di risolvere un deficit uditivo. Da lì inizia a sentire le “voci”, che lo spingono a «mettere in sicurezza la cattedrale, cercando e cacciando questo diavolo». Al rientro nella comunità religiosa, dopo il ricovero nel reparto psichiatrico, il quarantenne era apparso tranquillo, ma in realtà i fantasmi non lo hanno mai abbandonato.