La campagna di vaccinazione contro il Covid-19 in Italia prosegue, nonostante lo scetticismo di una parte della popolazione. L’immunologo Alberto Mantovani ha parlato dell’andamento dell’epidemia e della somministrazione delle dosi, sottolineando la necessità di immunizzare anche i più giovani in vista della riapertura delle scuole. L’obiettivo, infatti, è quello di ostacolare la diffusione del virus e dunque proteggere le categorie più fragili.
La battaglia contro il Covid-19 non è ancora terminata. In Italia la curva dei contagi è in risalita, ma lo scetticismo nei confronti del vaccino resta alto. Il rispetto delle norme utili ad evitare la diffusione del virus ed i sieri in commercio sono attualmente le uniche armi che il Paese ha per contrastare una nuova ondata. Affinché ciò avvenga, tuttavia, è necessario l’impegno di tutti. L’immunologo Alberto Mantovani, in tal senso, in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera, ha rivolto un appello ai più giovani – soprattutto in vista della riapertura delle scuole – e a coloro che ancora non hanno aderito alla campagna di vaccinazione. Il presidente della Fondazione Humanitas per la ricerca, inoltre, ha sottolineato che lo studio sul virus sta andando avanti, in modo da comprendere come e perché esso si sviluppi e da testare ulteriori cure.
“Vaccinatevi. Anche per ritornare a scuola in sicurezza”. Questo l’appello dell’immunologo Alberto Mantovani ai più giovani. La percentuale di soggetti tra i 12 e i 18 anni che hanno aderito alla campagna di vaccinazione, infatti, è ancora bassa. In molti credono che il Covid-19 non possa toccarli, ma in alcuni casi non è così. “Una delle domande che mi hanno posto gli studenti di una scuola superiore dell’Alto Adige è stata proprio questa: ‘Perché mi devo vaccinare? Sono giovane e non rischio molto’. Ecco, non è proprio così. È vero: i ragazzi fra i 12 e i 18 anni, si ammalano poco e raramente hanno forme gravi. Però, ci sono un po’ di ‘però’”, ha evidenziato.
L’esperto, in tal senso, ha presentato alcuni dati. “In Italia sono stati segnalati 28 casi mortali da Covid in questa fascia di età. Ma c’è di più. Andrea Biondi, all’Ospedale San Gerardo di Monza, ha avuto quattro casi di adolescenti, su 60, che sono finiti in terapia intensiva. E non è una bella esperienza per loro. Ancora: in alcuni di questi pazienti si è registrata la comparsa di una malattia nuova, una multi-infiammazione sistemica che interessa tutto l’organismo”. E ancora. “Esiste la minaccia del long-Covid: disturbi che colpiscono chi ha avuto la malattia e che si trascinano nel tempo: per esempio, disturbi della memoria. Lo dimostra un report, il primo al mondo, firmato dai medici dell’Ospedale Bambino Gesù di Roma”.
Il vaccino, ad ogni modo, non può essere l’unica arma contro il Covid-19. Esso, come evidenziato da diversi studi, non evita il contagio, bensì uno sviluppo severo della malattia. “È una cintura di sicurezza, come in auto. Ma da sola non ci può proteggere al 100 per cento se passiamo con il rosso. Quindi, non dimentichiamoci tutte le altre precauzioni, mascherina compresa”, ha ribadito Alberto Mantovani. Anche coloro che sono guariti dal virus non possono considerarsi al sicuro. “Anche chi ha già avuto il Covid è poco protetto, soprattutto fra gli anziani. Uno studio, firmato Pfizer, condotto su circa 44 mila individui fra i 12 e i 90 anni e pubblicato online (cioè accessibile a tutti), dimostra che, nelle persone anziane, la malattia dà una protezione da una nuova infezione, solo nel 47% dei casi. Il suggerimento è di vaccinare, al momento, con una dose”.
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E sulla possibilità che venga somministrata una terza dose: “Sappiamo, ancora grazie al lavoro di Pfizer, che a sei mesi dalla somministrazione del loro vaccino, la protezione dall’infezione diminuisce (cioè un vaccinato si può reinfettare), ma rimane alta, oltre l’80%, la capacità del vaccino di evitare le ospedalizzazioni e la morte. Per ora, comunque, non si hanno indicazioni certe. Non sappiamo se verrà fatta o meno”. Essa, in particolare, potrebbe essere utile per coloro che devono essere maggiormente protetti. “Il problema riguarda le persone fragili, per esempio perché colpite da tumori del sangue, e che reagiscono poco ai vaccini. Cercheremo di dare risposte concrete con uno studio, che si chiama Vax4Frail, sostenuto dal Ministero della Salute, e che ci vede partecipi come Istituto Humanitas, con altri partner come l’Istituto Tumori di Milano e il Regina Elena di Roma. I risultati dovrebbero arrivare entro l’estate”.
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La ricerca, intanto, prosegue. L’obiettivo è quello di trovare nuove cure. Quanto alle terapie farmacologiche, ha sottolineato Alberto Mantovani, “uno dei primi obiettivi della ricerca è quello di capire se esiste una predisposizione genetica alla malattia e se esistono marcatori che possono individuare una persona a rischio di sviluppare forme gravi”. Un progetto di cui si sta occupando personalmente. “Al momento si stanno sperimentando anticorpi monoclonali contro la proteina spike da destinare a pazienti fragili. Ma, secondo un nuovo studio pubblicato sulla piattaforma Recovery, potrebbero anche funzionare nelle fasi avanzate. Sono soluzioni che si stanno sperimentando se il vaccino fallisce o non funziona. Sono due anticorpi, frutto della ricerca italiana. Uno è un monoclonale, che vede tutte le varianti del virus, studiato da Davide Corti (pubblicato su Nature); l’altro, è un ‘minianticorpo’ ingegnerizzato, ideato da Rino Rappuoli. Attendiamo i risultati delle sperimentazioni”. In futuro, conclude, “occorre portare i vaccini ai Paesi poveri, altrimenti il virus può circolare e produrre nuove varianti, magari più aggressive”.
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