La Camera ieri sera ha dato il via libera alla riforma della Giustizia con 396 sì, 57 no e 3 astenuti. Ora il testo dovrà passare al Senato per un’ulteriore approvazione. Tra gli assenti in Aula non giustificati, 16 deputati del M5s, mentre sono due i pentastellati che hanno votato contro (Luca Frusone e Giovanni Vianelli). Inoltre, non hanno partecipato al voto 23 deputati della Lega e 26 di Forza Italia. Il punto della situazione.
Arriva finalmente il via libera della Camera alla riforma della Giustizia, dopo lunghi mesi di trattative e di polemiche per trovare una sintesi tra gli obiettivi della proposta di legge e le richieste sollevate dal M5s. Il testo è stato approvato con 396 sì, 57 no e 3 astenuti, e ora attende di passare al Senato. Nel frattempo, le forze politiche lanciano un occhio ai tabulati e contano gli assenti: sono stati 16 gli assenti non giustificati del M5s in occasione del voto sulla riforma, mentre in due hanno votato contro il provvedimento (si tratta di Luca Frusone e Giovanni Vianelli). Altri assenti si contano tra le fila della Lega, dove i non partecipanti al voto sono 23. Il Carroccio spiega che 13 di loro sono malati o in quarantena. Nulla a che vedere con la riforma, ribadiscono dalla Lega. A questi si sono aggiunti i 26 assenti di Forza Italia e i 14 assenti del Pd.
Tutti insieme, decretano un tasso di assenze abbastanza alto, che arriva a toccare oltre sessanta seggi e che lascerebbe pensare a una scarsa tranquillità interna da parte di diverse forze politiche. Eppure, non c’era tempo per trovare una maggiore compattezza: l’arrivo dei fondi del Recovery è legato a doppio filo alla riforma sulla Giustizia, e l’Italia non può permettersi di perdere quei soldi. Per questo il governo ha cercato di forzare la mano, trovando in extremis un accordo con il M5s e ponendo la doppia fiducia alla Camera. Le tensioni, sopite ma non assenti, sono infatti riemerse durante la discussione degli ordini del giorno al testo della riforma, durante la quale la tensione è tornata a crescere in più occasioni (ad esempio per la responsabilità civile dei magistrati, per gli ecoreati e per la riformulazione dell’odg in materia).
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In Aula è intervenuto anche l’ex ministro della Giustizia Bonafede che avrebbe ribadito la posizione del Movimento: non siamo completamente soddisfatti ma l’abbiamo migliorata, ripetono. E l’ex Guardasigilli, nello specifico, rivendica anche il proprio ruolo nella costruzione della riforma: “La realtà oggi è che si vota la riforma a prima firma Bonafede e successivamente emendata dal governo Draghi. Anche nel testo che viene votato oggi la prescrizione si stoppa dopo la sentenza di primo grado, così come era previsto nella legge Spazzacorrotti“. Eppure, Bonafede ribadisce anche l’assenza di una qualsiasi ragione di festa: “Voglio essere chiaro. Oggi non c’è nessun trionfalismo per i risultati raggiunti: quello che viene votato non è il testo che avremmo voluto”.
Tuttavia, “grazie al M5s guidato da Giuseppe Conte, e all’ascolto della ministra Marta Cartabia, abbiamo messo in sicurezza centinaia di migliaia di processi visto che, per tutti i reati, quindi compresi anche corruzione e reati ambientali, fino a dicembre 2024, sono stati raddoppiati i termini di durata massima dell’appello che può arrivare fino a 4 anni. Per i reati con l’aggravante mafiosa abbiamo triplicato il termine massimo a 6 anni”. E questo, ribadisce Bonafede, sarebbe merito dell’ostinazione del M5s che, alzando i toni, avrebbe ottenuto un cedimento su parte delle richieste avanzate: “Il M5s, con orgoglio, si è fatto carico di quelle preoccupazioni nel silenzio di tutte le altre forze politiche. Anzi, qualcuno ha parlato: il segretario della Lega dichiarò che ‘la riforma non andava cambiata nemmeno di una virgola’. Ignorando così completamente l’allarme lanciato dai magistrati antimafia“.
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Si schiera dalla parte dei vincitori e di coloro che hanno fornito “un contributo indispensabile” anche il Pd, che ora attraverso le parole del capogruppo dem in Commissione Giustizia Alfredo Bazzoli ribadisce: “È chiaro a tutti che il governo Draghi non sarebbe uscito rafforzato da una implosione della sua attuale maggioranza su questo scoglio. Ecco, noi abbiamo lavorato per aiutare il governo. Lo abbiamo fatto con il nostro spirito di lealtà e di servizio, perché siamo convinti e consapevoli che questo governo di unità nazionale, figlio di una situazione eccezionale, non può permettersi di perdere questa straordinaria, irripetibile occasione di riformare il Paese, anche attraverso l’utilizzo dei fondi europei”. Insomma, per il Pd è stata fondamentale proprio quell’apertura che – secondo le indiscrezioni – avrebbe infastidito parte del governo.
Intanto anche da Forza Italia si dicono soddisfatti, pur ribadendo – come il M5s – che la riforma Cartabia è frutto di un compromesso politico: “Questa non è la nostra riforma. Tuttavia, Forza Italia la voterà con convinzione perché riconosciamo che il governo ha compiuto un vero miracolo, nella misura in cui ha invertito il senso di marcia del modo di legiferare sulla giustizia”, dice la deputata Matilde Siracusano. Per LeU la riforma è invece un punto di partenza, come ribadito da Federico Conte durante l’intervento in Aula: “Ritengo questa riforma un punto di arrivo? No, però contiene norme e interventi di grande capacità innovativa. E’ uno straordinario punto di partenza sul quale il legislatore di domani potrà intervenire”.
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E’ un sì convinto, invece, quello di Italia viva, che dietro la riforma continua a intravedere un’archiviazione della linea Bonafede, in netto contrasto con quanto affermato dall’ex Guardasigilli: “Il processo penale non è quella barbarie giustizialista che il precedente governo ha voluto inserire nel sistema ma alla fine ha dovuto cedere al governo Draghi. Noi siamo dalla parte dei principi costituzionali. Il giusto processo è un processo veloce e noi abbiamo voluto questa riforma, sin dall’inizio”, dice il deputato di Italia Viva Catello Vitiello. Ebbene, alla luce dei fatti e delle dichiarazioni sembra veramente avvenuto un evento straordinario: quasi tutti i partiti politici fanno fronte comune per blindare la riforma, ma quasi tutti con visioni diverse sulla natura del testo.
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