Lo scorso 4 agosto una esplosione nell’area del porto di Beirut ha causato la morte di 217 persone e oltre 7 mila feriti, nonché una ampia devastazione nella zona. La causa dell’incendio scoppiato in un magazzino di prodotti esplosivi sequestrati – tra cui in particolare alcune tonnellate di nitrato di ammonio – sono ancora ignote a distanza di un anno. Amnesty International, attraverso una nota, ha denunciato che le autorità libanesi stanno ostacolando la ricerca della giustizia per la catastrofe.
Il primo anniversario dell’esplosione di Beirut cadrà il prossimo 4 agosto, ma ancora non si è riusciti a mettere luce sulle responsabilità della catastrofe. Nel tardo pomeriggio di quel giorno, infatti, un incendio in un magazzino di prodotti esplosivi (tra i quali nitrato d’ammonio, nitrato di sodio e acido nitrico), che erano stati confiscati nel 2014 dalle autorità libanesi, causò la morte di 217 persone ed il ferimento di oltre 7 mila cittadini. La zona portuale, dove si verificò il disastro industriale, andò sostanzialmente distrutta, tanto che circa 300 mila persone – due/terzi della popolazione – furono costrette ad abbandonare le proprie case. I danni si registrarono fino a venti chilometri di distanza dal luogo dell’incidente. L’associazione Amnesty International, attraverso una nota, a distanza di un anno ha sottolineato che ancora non è emersa la verità su quanto accaduto, né tantomeno è stata fatta giustizia per le vittime. I vertici locali, in tal senso, avrebbero ostacolato le indagini per proteggere i funzionari colpevoli.
“Le autorità libanesi hanno trascorso l’ultimo anno ostacolando spudoratamente la ricerca della verità e della giustizia per le vittime della catastrofica esplosione del porto di Beirut”. Lo si legge in una nota pubblicata da Amnesty International a poche ore dall’anniversario dell’incendio nel magazzino dell’area portuale della città libanese. L’associazione, inoltre, ha rivelato che qualche mese fa il primo giudice incaricato dell’inchiesta è stato allontanato dopo aver convocato esponenti politici per l’interrogatorio. L’obiettivo, dunque, sembra essere quello di insabbiare eventuali responsabilità dei piani alti.
Le indagini, al momento, sembrerebbero essere per cui sostanzialmente ferme. Alcuni documenti ufficiali trapelati in questi mesi, nonostante ciò, hanno rivelato che le autorità doganali, militari e di sicurezza libanesi, nonché la magistratura, avevano avvertito i vari Governi della presenza pericolosa di sostanze chimiche esplosive nel porto in almeno dieci occasioni negli ultimi sei anni, ovvero dal momento in cui queste ultime erano state confiscate. Non è stata, tuttavia, avviata alcuna azione a riguardo. Il presidente stesso, in passato, aveva anche ammesso di essere a conoscenza del pericolo, ma di aver “lasciato alle autorità portuali il compito di affrontarlo“.
“L’esplosione di Beirut, una delle più grandi esplosioni non nucleari della storia, ha inflitto una vasta devastazione e causato immense sofferenze. Le autorità libanesi hanno promesso una rapida indagine, invece hanno sfacciatamente bloccato e bloccato la giustizia in ogni momento, nonostante un’instancabile campagna per la giustizia e la responsabilità penale da parte dei sopravvissuti e delle famiglie delle vittime“, ha affermato Lynn Maalouf, vicedirettore per il Medio Oriente e il Nord Africa di Amnesty International. ”Il governo libanese ha tragicamente fallito nel proteggere la vita della sua gente, così come ha fallito per tanto tempo nel proteggere i diritti socio-economici fondamentali. Bloccando i tentativi del giudice di convocare funzionari politici, le autorità hanno sferrato l’ennesimo colpo al popolo libanese. Data la portata di questa tragedia, è sorprendente vedere fino a che punto le autorità libanesi siano disposte a spingersi per proteggere loro stesse“.
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I parenti delle vittime dell’esplosione di Beirut che a distanza di un anno chiedono giustizia sono tanti. Uno di questi è Mireille Khoury, il cui figlio Elias ha perso la vita a soli quindici anni a causa delle ferite riportate a seguito del disastro. “La giornata del 4 agosto sembrava la fine del mondo. Pensavamo fosse solo un incendio. Sono svenuto e poi mi sono svegliato per trovare la mia casa in rovina. Mia figlia mi ha chiesto cosa fosse successo. Lei è stata ferita e anch’io sono stato ferito. Sono corsa fuori e ho trovato mio figlio sulle scale ferito e coperto di sangue. Quel giorno ci hanno rovinato la vita“, ha raccontato. “Se le autorità libanesi lasciano passare questo crimine senza responsabilità, passeranno alla storia nel modo più orrendo“.
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La volontà di Amnesty International è quella di tendere una mano ai familiari di coloro che hanno perso la vita nel disastro industriale e a coloro che, pur sopravvivendo, hanno dovuto affrontare la distruzione. A giugno, per questa ragione, è stata inviata una lettera al Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite. All’interno di essa è stata richiesta una missione investigativa internazionale sull’esplosione di Beirut. È stato evidenziato, inoltre, come le indagini fatte finora siano state caratterizzate da difetti procedurali e sistemici. “Le settimane di proteste dei sopravvissuti e delle famiglie delle vittime sono un duro promemoria di ciò che è in gioco. Il loro dolore e la loro rabbia sono stati esacerbati dal momento che, di volta in volta, le autorità ostacolano il loro diritto alla verità e alla giustizia“, ha concluso Lynn Maalouf.
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