Sono passati vent’anni dai quattro giorni infuocati che nel 2001 – tra il 19 e il 22 luglio – sconvolsero l’Italia e il resto del mondo.
Vent’anni. Tanto è passato dai quattro giorni di fuoco che nel 2001 – tra il 19 e il 22 luglio – hanno sconvolto Genova, l’Italia, e il resto del mondo. Parliamo dei fatti avvenuti durante l’incontro del G8 di Genova, la riunione dei capi di governo dei maggiori paesi industrializzati svoltasi nel capoluogo ligure, in cui centinaia di manifestanti si sono scontrati con le forze dell’ordine. In un breve lasso di tempo si è concentrato un livello di aggressività tale che la ferita ancora brucia per chi, quelle vicende, l’ha vissute sulla sua pelle. Ma non solo. Sì, perché quelle cause perorate dai manifestanti definiti “no global”, sono le stesse che vengono portate avanti tutt’oggi da giovani attivisti per l’ambiente e per i diritti sociali dei più fragili.
Il movimento internazionale che vent’anni fa ha fatto da protagonista nella città blindata per il G8, infatti, era formato da centinaia di organizzazioni e associazioni diverse che si battevano contro le politiche economiche e sociali occidentali considerate liberiste, responsabili di ingiustizie e insopportabili diseguaglianze tra Nord e Sud del mondo. Princìpi che non sono difficili da ritrovare nelle ideologie di chi oggi combatte per il rispetto dell’ecologismo, la critica a un capitalismo sfrenato e l’opposizione alle guerre che dilaniano interi Paesi e popolazioni. E il motivo non è difficile da intuire: nel 2021, quelle che nel 2001 si presentavano come minacce relativamente lontane, sono veri e propri mostri che ci aspettano dietro l’angolo.
Il conto alla rovescia per salvare la Terra è stabilito dal Climate Clock, un enorme orologio digitale comparso nel settembre 2020 su un grattacielo nel cuore di Manhattan, in Union Square, New York. Segna il tempo che resta all’umanità per agire prima che la crisi climatica globale diventi irreversibile: mancano circa 6 anni prima che sia troppo tardi. Una situazione causata soprattutto dalla sovrapproduzione, dall’ipersfruttamento di animali e risorse naturali, a scopo di lucro. Un capitalismo, appunto, sfrenato.
Per quanto riguarda l’economia, l’Italia prima della pandemia – così come tanti altri Paesi – non si era ancora ripresa dalla crisi finanziaria del 2009, partita dagli Stati Uniti. Se il Paese economicamente predominante crolla, crolla il mondo intero. Un buco nero che ha coinvolto diverse generazioni, impedendo spesso di fatto il diritto al lavoro e a una vita dignitosa. E che ora è e sarà aggravato ulteriormente dalla crisi non solo economica, ma anche sanitaria e sociale, causata dal Covid.
Infine, sono innumerevoli i conflitti armati che ancora agitano il mondo. Soprattutto in Medio Oriente, dove l’ingerenza delle potenze occidentali spesso peggiora la situazione. L’ultimo balzato agli onori delle cronache per essersi riacceso con violenza è la crisi israelo-palestinese. Solo una delle tante guerre che quotidianamente vengono combattute e in cui i civili non hanno alcun interesse. Alla luce di tutto questo, potrebbe non essere sbagliato pensare che i manifestanti no global non avevano tutti i torti. Se li avessimo ascoltati, forse ora avremmo meno fretta di invertire le tendenze tossiche della nostra società.
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Oltre ai motivi che spinsero i manifestanti a scendere in piazza a Genova, bisogna ricordare le violenze ignobili perpetrate dalla Polizia e mai punite. Dimenticarle sarebbe un errore di valutazione non indifferente, dal momento che gli abusi di potere non sono affatto un elemento appartenente al passato. Basti vedere le violenze da parte della polizia penitenziaria nei confronti dei detenuti ospitati nel carcere di Santa Maria Capua di Vetere, a Caserta. Tre in particolare gli episodi rimasti impressi nella mente degli italiani: quelli di piazza Alimonda, dove fu ucciso il giovane manifestante Carlo Giuliani, della scuola Diaz, dove dormivano gli attivisti del Genoa Social Forum violentemente pestati dagli agenti, e della caserma di Bolzaneto, dove i no global arrestati subirono ogni tipo di tortura.
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Nei sei anni successivi ai fatti del G8, lo Stato italiano subì alcune condanne in sede civile per gli abusi commessi dalle forze dell’ordine. Per i medesimi reati contestati furono inoltre aperti procedimenti in sede penale nei confronti di funzionari pubblici. E altri procedimenti furono aperti anche contro manifestanti per gli incidenti avvenuti durante le manifestazioni, perché è giusto ricordare anche questi. Circa 250 dei procedimenti aperti tuttavia, originati da denunce nei confronti di esponenti delle forze dell’ordine per lesioni, furono archiviati a causa dell’impossibilità di identificare personalmente gli agenti responsabili. Un problema, quello della mancata identificazione degli agenti, emerso anche dalle violenze di Caserta.
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