Un ricordo tenero e toccante, come solo Carlo Verdone sa fare, per parlare di Jim Morrison, in occasione dei 50 anni dalla sua morte. Verdone è, come noto, uno dei suoi più grandi fan, un grande appassionato di musica e a sua volta un musicista.
“Una volta, quando stavo a Parigi sul set di ‘Posti in piedi in Paradiso’, sono andato a visitare la tomba di Jim Morrison e devo dire la verità: una preghiera gliel’ho detta. Gli ho detto grazie, perché mi hai dato i momenti più belli della mia giovinezza. Però, sei stato uno stronzo a prendere tutte quelle droghe, perché non servivano: eri bravo uguale”. Sono le parole del regista romano, il suo toccante e personale ricordo. Verdone, intercettato sul set del suo ultimo film, ha regalato all’Adnkronos alla vigilia dei 50 anni dalla morte a Parigi della grande icona del rock di cui l’attore e regista è uno dei fan più noti e appassionati, alcuni aneddoti e suoi ricordi personali.
“Io interpretavo il ruolo di uno che aveva un negozio dei vinili – ha ricordato Verdone- E portavo mia figlia, che nel film stava a Parigi, a visitare la tomba di Jim Morrison per portargli dei fiori (Morrison è sepolto a Parigi al cimitero del Père Lachaise, ndr). All’ultimo minuto però, il cimitero non ci ha dato l’autorizzazione perché la famiglia aveva chiesto un po’ di riserbo, dato che la tomba è ormai una vera e propria installazione meta di tantissimi. Il finale non fu come lo volevo, ma la visita alla sua tomba la ricordo molto bene”. Verdone si lascia poi andare in un pensiero intimo e profondo in merito all’artista, da cui trapela tutta la sua venerazione: “Lui era un timido, per lui era una cosa terribile salire sul palco, infatti si drogava, usciva fuori di testa – ha spiegato il regista- Ma era un ragazzo che leggeva moltissimo, amava la letteratura, conosceva Ginzberg, Kerouac, tutta la Beat Generation e ha sviluppato un senso della scrittura e della poesia molto fine. I suoi testi sono molto belli”.
“Purtroppo aveva scritto nel destino che doveva morire così presto. Era sensuale, era violento, era folle e soprattutto aveva un grande fascino, il fascino dell’autodistruzione”. Il regista romano coglie quindi l’occasione per fare un appello ai giovani: “Io spero che i ragazzi di oggi traggano una conclusione: che non si può morire così giovani per colpa di droghe prese in maniera esagerata e distruttiva. Mi auguro invece che sviluppino quella passione che lui aveva per la letteratura, per la poesia e la sua grande, enorme sensibilità. Prendiamolo come un grande simbolo di quegli anni, però non imitiamolo, perché la droga alla fine ci ha portato via il 70% dei grandi artisti”.
‘Light my Fire’ nata da un errore
“Quando ascoltai il primo album, ‘The Doors’, che mi aveva portato un amico dall’Inghilterra – ha spiegato Verdone – rimasi folgorato da due canzoni, ‘Break on Thru’ e ‘Light my Fire’, che considero tutt’oggi una delle dieci canzoni più belle che siano mai state scritte. È una canzone nata da un errore del chitarrista Robby Krieger, che anziché prendere un accordo ne aveva preso un altro. Ed ha intuito che quell’accordo, che mi pare fosse un ‘fa’, fosse l’inizio di un capolavoro, ‘Light my Fire'”.
Le più grandi canzoni scritte “nascono spesso da involontari errori, come anche ‘Shin On Your Crazy Diamond’ dei Pink Floyd, che nacque da un errore di David Gilmour, che sbagliò e nacque così quell’arpeggio meraviglioso”, ha spiegato il regista romano, rivelando una grande cultura musicale. E poi conclude: “C’è un senso di tristezza latente in tutta la discografia dei Doors, ed è questo forse che rende così affascinante la loro opera. Come artista non direi che mi ha ispirato, ma ha reso la mia giovinezza più felice”.