Mentre lo scontro tra Conte e Grillo all’interno del M5s assume toni sempre più intensi, sale la preoccupazione anche in altre forze politiche intente ad osservare con attenzione quanto accade all’interno del Movimento. Prima tra tutte, il Pd, che dai tempi di Nicola Zingaretti cerca di consolidare il presunto asse con un M5s a guida Giuseppe Conte, “punto fortissimo di riferimento di tutte le forze progressiste” (è parola di Zingaretti). Ma se Conte e Grillo non riuscissero a ricucire i rapporti, se Conte non dovesse assumere la leadership del Movimento, cosa accade?
Sembra una telenovela ma rischia di sfociare in qualcosa di molto peggio: i retroscena, i pop-corn sulle dinamiche interne del M5s stanno lasciando il posto a una seria preoccupazione per la crisi interna al partito. Pardon, al Movimento. Perché il punto è proprio questo: Giuseppe Conte nella conferenza stampa di ieri ha strappato il cerotto, lanciando una sfida a Beppe Grillo e chiedendogli di far votare il nuovo Statuto agli iscritti. Il problema è che il nuovo Statuto prevede – di fatto – una trasformazione della forza politica in partito tradizionale e un ridimensionamento del ruolo del garante. Qui sta lo scacco matto: Grillo può decidere di rifiutare la proposta di Conte, esponendosi all’accusa di essere un “padre padrone“, oppure può accettare la votazione esponendosi, però, al rischio di veder trasformato in un sol colpo Movimento e ruolo di garante. Di fronte a tutto questo, i diversi retroscena parlano di un Grillo infuriato, della tentazione di rispondere nella serata di ieri attraverso un videomessaggio e poi di un rinsavimento, della scelta di attendere per ponderare a mente lucida i prossimi passi. Una risposta è dunque attesa per la giornata di oggi. E i pentastellati non solo gli unici a restare in attesa.
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La tensione sale anche nelle altre forze di maggioranza. A mettere in guardia da possibili ripercussioni sulla tenuta dell’esecutivo è persino Matteo Salvini, che afferma: “Nei prossimi mesi ci sono tre riforme: pubblica amministrazione, fisco e giustizia. Da approvare da parte di un Parlamento che tecnicamente entra nel semestre bianco, durante il quale, qualunque cosa accada in aula, nessuno va a casa. Se i 5 stelle iniziano a farsi i dispetti, votandosi contro a scrutinio segreto, è un casino“. E se è preoccupato Salvini, figuriamoci gli esponenti Pd, che sull’asse con il M5s a guida Conte hanno puntato molto, tanto da cambiare un segretario per sostituirlo con un altro segretario pronto a puntare sullo stesso progetto.
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Lo sguardo preoccupato del Pd va non tanto alle amministrative, dove i dem sono riusciti a piazzare a Napoli e Bologna candidati Pd sostenuti dai pentastellati, ma va alle elezioni 2023. Oltre che all’attuale esecutivo. “La crisi M5s non è auspicabile per nessuno, mi auguro che si risolva positivamente“, afferma il ministro del Lavoro, Andrea Orlando. “In tutti casi questo pone una sfida immediata anche per il Pd, perché se M5s dovesse entrare in crisi, e io non me lo auguro, questo determinerebbe un cambiamento negli equilibri nella maggioranza“, aggiunge Orlando. Fa eco Enrico Letta, che si augura per il presente che non ci siano “fatti di politica interna ai partiti che mettano in difficoltà la vita del governo“. Ovviamente un’eventuale scissione del M5s procurerebbe effetti indesiderati sul lavoro dell’attuale maggioranza, ma non basta.
Il rischio non è tanto quello di tornare immediatamente alle urne (grazie al semestre bianco), quanto quello di rischiare meccanismi di ostruzionismo nelle aule. E a proposito del semestre bianco per l’elezione del presidente della Repubblica, cosa accadrebbe di fronte a una possibile scissione del M5s? “Sono preoccupato per gli effetti di una potenziale deflagrazione dei gruppi parlamentari dei Cinque Stelle nell’elezione del presidente della Repubblica. Così si complicherebbe la vicenda del Quirinale. Si darebbe un assist alla destra“, dice Enrico Letta stando a quanto riportato dal Corriere. Poi c’è, ovviamente, la questione più importante di tutte: le elezioni del 2023. Una data che preoccupa il centrosinistra, minacciato da un centrodestra che sfiora il 50%. Una data che ha portato il Pd a premere sull’acceleratore, al di là di ogni ostacolo, sull’asse con il M5s di Conte.
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Ma il Pd ha trascurato il fattore: Conte non è scontato nel M5s, andava ancora ufficializzato come capo politico del Movimento. Il Partito Democratico, allora, si ritrova ad aver fatto i conti senza l’oste. O peggio: ha sospeso la sua riorganizzazione interna in attesa di un colpo battuto dal M5s. Ha seguito quella tendenza tutta italiana a fare alleanze sulla base di nomi e presupposti strategici, tanto i programmi si aggiustano poi. Ecco, ora il Pd si trova senza identità e senza un alleato sicuro. “Rafforziamo l’identità del partito, costruiamo un campo largo con le altre forze del centrosinistra e poi dialoghiamo con i 5 Stelle, ma finché non sappiamo chi avrà la leadership siamo cauti“, avrebbe ripetuto ai suoi Enrico Letta, stando al Corriere. Meglio tardi che mai.
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