Mentre la procura di Genova chiede il rinvio a giudizio per 59 persone per il crollo del Ponte Morandi avvenuto il 14 agosto 2018, finiscono al centro dei riflettori gli ex vertici ed ex dirigenti di Aspi. Tra questi, l’ex amministratore delegato Giovanni Castellucci, che oggi ha risposto alle domande del Corriere affermando: “Mi pare che si vogliano addossare le responsabilità a me. Dopo la privatizzazione abbiamo lavorato e investito tanto proprio sul tema della sicurezza“.
Non si fermano le indagini sul crollo del Ponte Morandi, avvenuto il 14 agosto 2018 e causa della morte di 43 persone. La procura di Genova ha chiesto il rinvio a giudizio per 59 persone, con accuse a vario titolo: omicidio colposo plurimo, omicidio stradale, attentato alla sicurezza dei trasporti, crollo doloso, omissione d’atto d’ufficio, e omissione dolosa di dispositivi di sicurezza sul lavoro. L’accusa parla di “incoscienza, negligenza, immobilismo, comunicazioni incomplete e fuorvianti“ durate circa 50 anni. Sotto accusa e rinviati a giudizio, gli ex vertici ed ex dirigenti di Aspi. Tra gli altri, i pm hanno chiesto il processo anche per l’ex amministratore delegato Giovanni Castellucci, numero uno di Atlantia e anche della società Autostrade, che oggi afferma in un’intervista al Corriere: “A indagini concluse e atti depositati emerge anche un’altra verità rispetto a quanto fin qui rappresentato: gli incidenti probatori hanno evidenziato che già nel 2000, quando la società fu privatizzata, il margine di sicurezza dello strallo del pilone 9 nel punto di rottura (cd reperto 132) si era ridotto dell’80%, nonostante l’importante ciclo di manutenzione del 1993 eseguito dallo Stato prima di consegnarci il Ponte. Perché il difetto di costruzione era occulto”.
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Castellucci prova allora a ridimensionare la sua responsabilità: il problema del ponte era occulto, strutturale e antecedente alla privatizzazione del ponte. Questo ridimensionamento di responsabilità, però, stride con il “diffuso stato di corrosione delle armature” sottolineato dall’accusa, uno stato di corrosione al quale Castellucci avrebbe dovuto prestare attenzione. A questo punto, Castellucci ribadisce che, tuttavia, “lo stesso incidente probatorio ha evidenziato che i cavi degli stralli avevano una ossidazione superficiale o al massimo modesta, tanto è vero che non sono stati nemmeno analizzati nel dettaglio; sul reperto 132, invece, la corrosione profonda era stata provocata da una serie di errori di costruzione (…). Il tutto sotto quasi mezzo metro di cemento armato”. Come a dire, il problema era pregresso, risalente ai tempi della costruzione, della gestione statale, e loro non potevano rintracciarlo. Ma non solo.
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Castellucci va oltre: “Un difetto occulto, ma viene da chiedersi se non sia stato addirittura occultato, dato che quello fu l’unico pilone a non essere mai stata sottoposto alla prova di carico obbligatoria per legge. Tecnici qualificati nel 1993, e cioè in occasione della precedente ristrutturazione, decisero per il pilone 9 solo l’impermeabilizzazione, con una prognosi di rivalutazione al 2030″. Certo, dice Castellucci, ordinarono anche un sistema di monitoraggio attraverso una tecnologia elettrica, ma non bastò a individuare quel tipo di problema. Colpa dello Stato, colpa dei tecnici del 1993? “Guardi, è un fatto che nella consulenza tecnica di una delle parti offese viene riportata un’affermazione forte: nel 1993 fu ‘decretata la sorte’ del ponte. E a sovrintendere quei lavori c’erano un collega di Morandi e l’ordinario del Politecnico di Milano. Quella stessa relazione dice anche che nessun tecnico ha mai preso in considerazione un crollo per la corrosione dei cavi primari: quelli più profondi e protetti che tenevano in piedi il ponte'”, dice Castellucci senza peli sulla lingua.
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Certo, qualcosa non torna nella ricostruzione di Castellucci. Qualcosa come il fatto che la conclusione delle indagini teorizzi, invece, una tendenza a risparmiare sulla manutenzione del ponte Morandi e – contemporaneamente – ad aumentare i dividendi dei dirigenti. Di nuovo, Castellucci nega tutto: i dividendi sono raddoppiati da quando ha lasciato la gestione dell’Azienda. Anche la spesa, era raddoppiata, ma questo dopo la privatizzazione del 2000. E’ tutto alla luce del sole, dice lui, come se quanto dichiarato sulla carta, in Italia, corrispondesse sempre alla realtà. Insomma, di chi è la colpa? Si ripete all’infinito questo scaricabarile che si nasconde nella lettura dei dati, delle carte, dei dati dietro le carte e delle carte dietro i dati, in questo groviglio di ruoli e responsabilità in cui è sempre colpa di tutti e di nessuno.
Ora Castellucci dice: “Certo che mi domando se nel mio ruolo avrei potuto fare qualcosa di diverso, però tutti i giornalisti bene informati sanno che negli atti depositati ci sono i miei continui inviti ad affrontare il tema delle manutenzioni e del controllo del ponte in maniera organica e risolutiva nonostante le rassicurazioni dei tecnici interni ed esterni. Ma questo purtroppo non ha evitato la tragedia”. Strano che Castellucci abbia sentito il bisogno di insistere così tanto nonostante le rassicurazioni, strano che lo abbia fatto per un problemi antecedenti, a detta sua occulti, e seppelliti sotto quintali di cemento. Strano che ai presunti appelli sulla carta non siano seguiti provvedimenti nella realtà. Anzi, a pensarci bene, in questo Paese non è poi così strano.
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