Il regista pakistano Wajahat Abbas Kazmi ad Adnkronos ha parlato di Islam e omofobia, il giorno dopo la lettera di Papa Francesco al prete gesuita che difende i diritti Lgbtq in cui scrive: “Dio ama tutti, Dio è il padre di tutti”. Suo il docu-film “Allah loves equality”, girato insieme all’associazione Il Grande Colibrì di cui è cofondatore e con il patrocinio di Amnesty International.
“L’Islam non è lo stesso ovunque”. E “Allah ama l’uguaglianza”, Allah “ama tutti”. Tanto che “in Pakistan ci sono associazioni per trans, gay e lesbiche, ci sono attivisti che lavorano apertamente e liberamente”. E sempre in Pakistan nel 2017 è stata approvata una legge che riconosce i pieni diritti alle persone transgender e condanna con sanzioni atti di violenza e discriminazioni nei loro confronti. “Una legge che in Italia ancora non esiste e che dimostra come in Pakistan siano stati compiuti molti passi in avanti”.
Il regista è arrivato in Italia quando aveva 15 anni, Kazmi ha spiegato che “in Pakistan esiste una comunità Lgbtq molto aperta e molto forte, nessuno se lo aspetta” perché “c’è un preconcetto rispetto ai Paesi islamici pensando siano tutti uguali”. Certo, ammette, “chi è omosessuale può essere condannato, da tre a dieci anni di carcere, ma l’aspetto positivo è che questa legge omofoba non viene mai applicata perché è un’eredità del colonialismo inglese che non siamo riusciti ad abolire. A differenza dell’India. Ma non c’è fretta perché non viene condannato nessuno”.
In Pakistan la maggioranza della popolazione è bisessuale
“In Pakistan c’è tolleranza perché veniamo dalla realtà indù che è molto diversa da quella dell’Arabia Saudita o di altri Paesi che sono più conservatori e fondamentalisti”, ha spiegato Kazmi, che raccontato di “imam gay” e affermato inoltre che “la maggioranza della popolazione in Pakistan è bisessuale. Perché è difficile avere rapporti sessuali con una donna prima del matrimonio e per questo è più facile averli con persone dello stesso sesso”. Ma “poi ci si sposa e si diventa eterosessuali. E anche omofobi”, ha aggiunto con un sorriso amaro. Lui, che a 18 anni era stato promesso in sposa a una cugina prima di dichiarare alla famiglia la sua omosessualità.
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I matrimoni combinati
Le difficoltà le ha incontrate in questo campo, con la famiglia appunto. Perché “i matrimoni combinati servono ai genitori. Ci sono diversi interessi, quelli dei beni”, ma anche degli immigrati. “Quando si accetta di sposare un cugino o una cugina, li si aiuta a venire in Italia ad esempio tramite il ricongiungimento familiare. Per cui si tratta di un aiuto alle famiglie”.
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“Un genitore può accettare che il proprio figlio sia gay, la propria figlia lesbica, ma poi si interroga su come spiegarlo alla comunità. C’è la paura della propria comunità, che può portare anche un padre, un fratello a uccidere per difendere l’immagine della famiglia”. Anche se “l’omosessualità fa parte della nostra cultura, abbiamo vissuto il terzo sesso, la realtà transgender, la realtà dell’impero di Moghul dove l’omosessualità era accettata”.