In ginocchio si o no? Come trasformare un tema sociale in una farsa

Sembra che per la partita con il Belgio i calciatori della nazionale abbiamo deciso: si inginocchieranno. Ma un tema delicato e divisivo è diventato barzelletta. Come spesso capita in Italia.

“Inginocchiatevi, è un simbolo importante!”. “Non inginocchiatevi, è un segno di resa e sottomissione!”. “Il movimento Black Lives Matter ha legittimato la violenza!”. “Il movimento Black Lives Matter ha finalmente messo al centro della riflessione pubblica mondiale il tema del razzismo!”. Potremmo continuare ancora per molto nel citare quello che è stato detto rispetto la questione del “take a knee”, il gesto di inginocchiarsi (con o senza pugno chiuso) per mostrare opposizione al razzismo, in tutte le sue forme. Ma in Italia siamo abituati a questo fenomeno, il ridurre a baracconata qualsiasi argomento, qualsiasi riflessione, qualsiasi questione. E ovviamente anche in questo caso abbiamo dato il meglio di noi stessi: sono circa due settimane che è quasi impossibile, ad esempio, andare a farsi un giro sui social. Tra hashtag surreali tipo #iononmiinginocchio e commenti quasi sempre illeggibili, il quadro che emerge è sconsolante. Ma non, sia chiaro, perchè una opzione sia migliore dell’altra in senso assoluto. Non crediamo faccia parte dei compiti di una testata giornalistica il fatto di dettare la linea morale da seguire. E’ il livello del dibattito ad essere sconfortante.

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Ricostruiamo i fatti: alcune squadre degli europei (come ad esempio il Belgio, ma non solo) decidono di inginocchiarsi prima del fischio di inizio di ogni partita proponendo il “take a knee”,  l’atto di inginocchiarsi per protestare contro il razzismo e a favore della libertà di espressione. Questo atti simbolico di protesta è nato – in associazione ad evengti sportivi – nel 2016. Il giocatore di football americano Colin Kaepernick, dei San Francisco 49ers, si inginocchiò durante l’esecuzione dell’inno nazionale statunitense prima di un match per denunciare la violenza della polizia verso gli afroamericani ed esprimere solidarietà al movimento ‘Black Lives Matter‘. Altri atleti imitarono il gesto, anche in reazione al perpetrarsi della brutalità poliziesca e edli atti di razzismo. Nel 2017 l’allora presidente Donald Trump attaccò duramente questo tipo di protesta, chiedendo addirittura di licenziare gli atleti che la esprimessero. Questo tipo di censura ovviamente la rese virale, facendola diffondere anche nella NBA ed in tutti gli sport nordamericani. Una protesta, vale la pena annotarlo, portata avanti non solo dagli sportivi afroamericani. L’esplosione definitiva avvenne dopo la brutale uccisione di George Floyd da parte di un agente di polizia a Minneapolis. Floyd morì soffocato proprio dal ginocchio dell’agente, premuto sul suo collo.

Da quel momento il gesto dell’ inginocchiarsi per manifestare la propria opposizione al razzismo divenne globale, arrivando – sempre per restare in ambito sportivo – anche in Europa. Premier League, Bundesliga, Champion’s  League, ed infine gli Europei. Una manifestazione così mediatica non poteva sfuggire dal diventare momento di polemica: e così è stato. Inghilterra, Belgio e Galles si inginocchiano, l’Italia no. Prima polemica: “perchè non vi inginocchiate?”. Ultima partita del girone, match con i gallesi che, appunto, si inginocchiano. Dei nostri lo fanno solo in cinque: “Perchè solo loro?”, ma anche “Non dovevano farlo nemmeno loro”. Con l’Austria niente, ora forse con il Belgio si inginocchieranno tutti. La Federazione lascia (in apparenza) libertà di espressione, i giocatori decidono tra di loro, ed esternano in maniera un pò confusa, vedi Chiellini e la sua confusione tra “razzismo” e “nazismo”. Sembra di assistere ad una puntata della fortunata ed iconica serie tv “Boris”, nella quale tutte le decisioni inerenti alla realizzazione di una soap opera passavano per grottesche valutazioni di “opportunità politica”.

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Qual’è la verità? E’ che valgono entrambe le tesi: il razzismo come fenomeno sociale non verrà limitato di certo dall’inginocchiarsi di un centinaio di ragazzi straricchi e spesso fuori dalle normali dinamiche “sociali”, ma anche un gesto può avere la sua importanza, sopratutto se così “mediatico”. E dunque, perchè non lasciare che la decisione sia individuale, soggettiva,  rispettando la sfera dell’etica e della morale altrui? Che ne sappiamo di cosa passa per la testa di ognuno dei calciatori in campo? E sopratutto, per favore, smettiamo di guardare tutto attraverso le lenti offuscate della nostra politica interna: le beghe nostrane non esauriscono tutto quello che può essere detto ed accettato a livello politico e sociale. Il mondo è grande, grandissimo: molto più grande dell’area compresa tra Montecitorio, Palazzo Madama e Palazzo Chigi. Non dimentichiamocelo mai!

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